Il mio WE FOLK!

Quest'anno Drodesera Festival è stato WeFOLK!dal 20 al 28 luglio.
Varcato il ponte che ci conduce all’entrata del Festival immersi nel silenzio delle montagne, ci addentriamo verso la cara e vecchia Centrale, questa “Signora” imponente, forte, sicura, austera nell’immagine ma accogliente e generosa con tutti.
WEFOLK! è stato un territorio di confine ma anche d’inizio, di sperimentazione, di passaggio, di gioco, d’incontri, di scambi, di rituali. I linguaggi sono stati azzerati, rivisti o ritrovati. Spettacoli che hanno puntato sulla ricerca di una propria origine, di una propria individualità, attraverso le tematiche più svariate ma vicine alla storia di ognuno di noi.



Tra gli spettacoli che hanno contraddistinto questa edizione del festival mi sono imbattuta in: Philippe Quesne/Vivarium Studio con L’Effet de Serge - performance spiazzante di questo artista francese che mette in scena per circa un ora una serie di mini-performance create, appunto da Serge, per amici o conoscenti con cadenza settimanale per un max di 3 minuti di durata, ingegnoso e alquanto corraggioso. L'attenzione va a intermittenza, nel senso, per quanto il pubblico possa essere interessato a quello che farà Serge, spesso i momenti statici e silenziosi predominano sui momenti davvero geniali. Mentre si guarda Serge con i suoi effetti penso: mi rivedo in Serge, potrei farlo anch'io? 
Anagoor con L.I. Lingua Imperii
violenta la forza del morso che la ammutoliva - Il nuovo lavoro della compagnia veneta spazia una quantità di autori diversi – con Primo Levi sempre presente, si è passati da Eschilo a Jonathan Littell, dallo scrittore tedesco W.G. Sebald all'americano Vollman - lo spettacolo mette in scena le ferocie dello Shoan in particolar modo concentrandosi sul rapporto delle lingue e il potere, le testimonianze dei lager e la crudele realtà della caccia.
La lingua domina su tutto e viene dimostrato come possa essere in grado di affermare o negare un identità, una etnia, un territorio, una razza…
Gli Anagoor colpiscono sempre e comunque, questa volta lo fanno utilizzando una tematica forte a cui non riusciamo, ne dobbiamo rimanere indifferenti; sempre con la cura che solo loro hanno negli allestimenti e nel dettaglio, appena entrati in sala ci sembra di essere di fronte ad un quadro. Tutto è perfettamente equilibrato, delicato, composto, niente è lasciato al caso. E’ da questo quadro che nove attori portano in vita i racconti più strazianti, attraverso movimenti, gesti e con un uso della voce che fa rabbrividire e che a tratti si unisce e si nasconde al sibilo del vento, un vento che spazza via ma che lascia indelebili tracce dentro di noi.
Lingua Imperii è:
Storie di cacce innominabili. Non metafore, ma fenomeni storici concreti, antiche odiose abitudini secondo le quali, nelle forme della caccia, alcuni uomini si sono fatti predatori di altri uomini e, ancora nel XX secolo, hanno intriso il suolo d’Europa del sangue di milioni di persone: tanto il suo cuore civile, quanto le sue vaste foreste, fino ai suoi estremi confini montuosi. Lamentatori che non vogliono più essere stati cacciatori e che, di fronte al riemerso ricordo delle vittime, lamentano il peso della colpa della caccia cruenta. Il Caucaso, limite estremo dell’Europa, confine geografico naturale, montagna delle lingue e intreccio fittissimo di popoli, labirinto che traccia e insieme confonde i confini, i limiti, le distinzioni, e si erge massiccio come epicentro della memoria e luogo mitico di questo giudizio.”

Francesca Grilli con Iron porta in scena una tematica piuttosto sentita nella nostra cultura e nella nostra contemporaneità, ossia la censura italiana della musica. 
Ci troviamo per 20 minuti ad assaporare un concerto per archi dove i musicisti suonano alcuni brani di musica italiana eliminati o modificati dalla censura riproponendoli nella loro originalità. Una scena vuota e illuminata solo dalle luci di tante piccole candele, posizionate proprio sopra gli archetti (dei veri archetti infuocati), davanti a loro due leggii che accoglievano la cenere di spartiti bruciati.
Apparatus 22 con Morpheus BuyBack è l'ultimo spettacolo che ho visto alla Centrale e quello che porterò maggiormente dentro il cuore, principalmente perché è stato "il mio spettacolo", sola e unica spettatrice attiva mi sono trovata a raccontare il mio peggior incubo. Sola con le mie ansie, con la mia preoccupazione. Una performance di 15' dove grazie agli Apparatus 22 si esorcizza la nostra paura più nascosta e attraverso una musica mirata e un amuleto ne usciamo rigenerati. Da rifare a seconda del numero di paure che si hanno in soffitta!


Saluto anche per quest'anno la Centrale che mi regala sempre delle belle e forti emozioni. Non ci sono tanti posti così al mondo!
www.centralefies.it
www.anagoor.com
www.francescagrilli.com
www.vivariumstudio.net

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