AFFETTI DI SUPERFICIE_Darling


- incipit -
Un container padroneggia la scena
Luci al neon illuminano a giorno il palco
Il rumore incessante di stormi d’uccelli introduce e accompagna l’entrata in scena di tre uomini (Giuseppe Sartori -sempre unico-, Piersten Leirom, Gabriel Da Costa) avvolti da coperte marroni, come dei sopravvissuti.
La donna (una fantastica Anna Gualdo) vestita di nero, stile settecento, entra in scena dall’alto del container . Ha una maschera informe che le copre il volto, i capelli bianchi e arruffatti, parla con estrema fatica e lentezza.


Forse volutamente criptica e sconnessa, ma maledettamente potente, Darling. Ipotesi per un'orestea, è l’ultima fatica della compagnia “enfant terrible” Ricci/Forte che sbarca in Veneto al Teatro Astra di Vicenza il 6 febbraio 2015. La platea è piena, il pubblico variegato.
Da sempre etichettati come sovversivi e provocatori, da anni cullano il loro pubblico più affezionato con spettacoli forti, veloci, dalla drammaturgia prettamente fisica, avvalendosi sempre di attori/performer che non smettono mai di darsi “in pasto” al pubblico denudandosi, non solo materialmente, e svelando l’intimità del loro vissuto. La forza dei loro lavori sta proprio nell’atto performativo dell’attore che esce dagli schemi canonici che siamo abituati a vedere in scena. Nulla appare finto, il corpo vibra, l’emozione è sincera, il nome è il loro, i pezzi di vita raccontati anche.
Qualcosa però si è rotto in Darling, la rotta appare cambiata. Ciò che differenzia quest’ultimo lavoro dagli altri è il tempo dilatato della scena (circa 100 minuti di spettacolo), c’è meno agitazione, meno velocità, una scena più ricca di particolari – un container che diventa un modulo su cui gli attori creano e disfano senza tregua le diverse ambientazioni – individuando diversi livelli di lettura che mantengono il sottotesto dell’Orestea di Euripide ma che la trasportano ai giorni nostri attraverso tanti riferimenti attuali che destabilizzano inizialmente lo spettatore ma che poi lo avvicinano ai movimenti scenici dei 4 attori che abitano la scena in maniera impagabile, facendo del loro corpo uno strumento necessario. Comunicano al di là della lingua, al di là della drammaturgia, arrivando dentro e scuotendo il pubblico attraverso musiche assordanti. Lanciano molti imput e possibili riallacciamenti al contemporaneo, al vissuto più recente(vedi Charlie Hebdo, disoccupazione, il senso di fallimento e declino), agli stati d’animo più comuni, noti soprattutto alla generazione di precari ormai non più giovanissimi ma nemmeno vecchi, quei giovani che nonostante stiano superando la soglia dei 40 tentano il tutto per tutto per resistere, per combattere e per non arrendersi.
 
C'è un senso di famiglia osservando i quattro protagonisti, un senso di appartenenza ad un gruppo nei suoi momenti di affettuosità, disperazione, rimprovero, rabbia. 
Può apparire un groviglio di relazioni Eschilo, Hannah Arendt, Gregory Crewdson, Edward Hopper, Antonin Artaud e Led Zeppelin, ma si intrecciano e si fondono, creando un cortocircuito che da vita allo spettacolo. Può sfuggire la logica più chiara,  soprattutto per chi da profano si avvicina a loro proprio con questo lavoro, che a mio avviso è uno dei più complessi e strutturati finora “vissuti”, ma volutamente destabilizzante e avvincente.

- epilogo -
il container è ormai distrutto
i tre uomini sono  nudi e indossano solo un elmetto, giocano e si arrampicano sulla strutta con la semplicità e la leggerezza tipica solo dei bimbi.
la donna indossa una maschera antigas
sale sopra il container, osserva il pubblico
BUIO.

Le prossime date di DARLING
BARI - TEATRO KISMET
21 - 22 febbraio 2015

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