L'Omelette di Teatro Magro
foto by Michele Ferrarini
Nello Spazio Studio Sant’Orsola
di Mantova, il 31 gennaio e 1 febbraio, all’interno della programmazione di Altroteatro, ha preso vita la
nuova produzione del Teatro Magro - per la regia di Flavio Cortellazzi che
dirige e guida un Alessandro Pezzali perfettamente enigmatico e intenso –
OMELETTE.
Omelette è una
rielaborazione del pensiero di Antonin Artaud e lo spettacolo diventa quasi una
sfida: quella di portare al pubblico una tematica alquanto particolare,
difficilmente commerciale e un po’ ostica. Artaud è stato un regista, attore,
filosofo francese della prima metà del 900 che rivoluzionò il concetto di
teatro. Secondo Artaud il testo aveva finito di esercitare un potere sullo
spettacolo e spinse sull’aspetto dell’integrazione, portando su uno stesso piano
tutte le forme di linguaggio fondendo gesto, movimento, luce e parola.
Per chi conosce anche solo
un pò il lavoro di Artaud ricorderà certamente Il teatro e il suo doppio e il manifesto Teatro della Crudeltà, in questi scritti il regista/attore afferma
le possibilità estreme del teatro nel suo rigore pieno e necessario.
Teatro Magro raccoglie
questi pensieri e li porta in scena in 45 minuti densissimi attraverso il
corpo, le azioni e i gesti di Alessandro Pezzali che si muove sul palco
seguendo una logica dettagliata ma che rimane estranea, almeno all’inizio, al
pubblico. Utilizzando un linguaggio crudo si parla di defecazione, di sesso,
orgasmi. Li alla radice si vuole arrivare, all’indole più naturale e umana di
ogni persona che il più delle volte è istigata o abituata a trattenere e mai a
lasciare andare.
“Là dove si sente
la merda | si sente l'essere. | L'uomo avrebbe potuto benissimo non andare di
corpo, | non aprire la tasca anale, | ma ha scelto di andare di corpo | come
avrebbe scelto di vivere | invece di acconsentire a vivere morto.”
foto by Michele Ferrarini
Pochi gli elementi in
scena, atmosfera scarna e fredda resa ancora di più dalla lastra al neon che si
accende e spegne a intervalli quasi regolari, dettando la struttura della scena - la
divisione dello spazio tra oscurità e luce - fatta di silenzi, osservazioni e
azioni. Un breve racconto in modalità repet (un sogno forse?) - l’ultimo
incontro con una donna, l’amplesso e gli spari che uccidono prima lei poi lui -
è replicato tre volte, ogni volta in modalità differente.
L’attore è interrogato e
guidato dalla voce fuori campo del
regista, è esortato a raccontare verbalmente e poi fisicamente sempre la
stessa scena, assumendo aspetti di autoanalisi; in maniera intermittente
si crea una connessione tra Artaud e Pezzali, che indaga parti della teoria del
drammaturgo, parti della propria esperienza intima e personale alla ricerca di
una propria liberazione risalendo all’origine, al momento della nascita, li dove tutto ha un inizio e una fine,
rompendo l’uovo (“il bambino staccato dalla placenta è come un uovo rotto che
si espande in una omelette” cit. Jacques Lacan).
foto by Michele Ferrarini
Una prova forte e coraggiosa quella del Teatro Magro, che dopo il successo di Senza Niente 1-2-3-4 ritorna in scena con un lavoro che richiama un pò le origini, fatto di tematiche forti, non commerciali, concettuali e sempre attuali per un teatro che diventa anche una sfida, quella di avvicinarsi ad un pubblico ancora un pò impacciato e lo fa grazie anche all'intesità di Pezzali - inchioda lo spettatore alla seggiola in tutte le sue azioni - che rimane uno degli attori più bravi mai visto in scena, potente nella voce, nello sguardo e nel corpo. Un corpo androgino che parla ancora prima di iniziare.
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