Ritorno ad Akropolis - Testimonianze Ricerca Azioni IX edizione
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Arrivo a Genova in una serata di pioggia torrenziale.
Nonostante il tempo balordo, mi rendo conto sin da subito di essere arrivata in un posto speciale, sono
accolta dalla fantastica realtà di Teatro Akropolis che da nove anni da vita al Festival Testimonianze Ricerca Azioni,
fortemente voluto nonostante gli episodi drammatici che hanno colpito la città.
Teatro Akropolis decide di esserci, in un atto di resilienza
in un territorio molto provato perché si rende conto che può essere di aiuto,
può trasmettere un segnale importante, per tutti coloro che riescono e che vogliono trovare nell’arte uno spiraglio di
fiducia e speranza nel futuro. Il filo conduttore di questo festival è la ricerca nel corpo
della propria essenza, tenere i piedi ben putanti a terra sapendo che l’energia
viene da li e la troviamo ogni volta che ne abbiamo bisogno.
Undici giorni - dall'8 al 18 novembre - che vedono ospiti 65 artisti e studiosi nazionali e
internazionali, 30 eventi in programma di cui 23 spettacoli, 5 incontri, 3
presentazioni di libri, 2 workshop.
La mia permanenza è fugace, ma intensa quanto basta per
rendermi conto della profondità e del valore di questo progetto, che si sviluppa su una ottima fusione tra pensiero filosofico sulla concettualità di essere corpo e il corpo vissuto come tale, grazie anche all'importante rilievo che hanno deciso di dare alla particolare danza butoh, alla danza e al linguaggio del circo contemporaneo e ad altre produzioni performative.
Venerdi 9 assisto alla prima del nuovo lavoro di Teatro
Akropolis - proprio all'interno del loro teatro (una bellissima palestra che ha trovato nuova forma): Pragma – Studio sul mito di
Demetra con Domenico Carnovale, Luca Donatiello, Aurora Persico e
Alessandro Romi per la regia di Clemente Tafuri e David Beronio.
Lo spettacolo sviscera in 40 minuti il mito di
Demetra. Attraverso una ricerca fatta sulle fonti
e sugli studi filosofici ha portato in scena un lavoro che indaga
senza mai usare la parola un linguaggio prettamente corporeo, fatto di movenze, gestualità, ritualità che rimandano a qualcosa di ancestrale e che generano “dee e creature”
fuori dall’ordinario.
I corpi in scena si trasformano – dal ritrovamento tra Demetra e
Persefone nasce Dioniso - anche grazie all’uso strategico di luci e suoni che
amplificano ciò che stiamo osservando in scena, solo la
presenza predominante degli attori che tras- formano e agiscono seguendo una linea del movimento quasi di natura geometrica e che porta ad indagare una fisicità molto segmentata.
Sabato 10 arrivo a Palazzo Ducale è la volta dello
spettacolo di Imre Thormann e il suo Enduring Freedom. Non avevo mai assistito a
uno spettacolo di danza Butoh, ma credo che il termine “spettacolo” sia
piuttosto riduttivo per ciò che lo spettatore si appresta a vedere.
Intanto la danza Butoh è una danza di origine giapponese (bu=corpo to=pestato),
viene definita anche come la
versione punk della danza classica giapponese. Mi piace questa definizione di Kazau Ohno che dice: La danza è forma dell’anima, oblio della propria identità. Piuttosto che pensare prova a lasciarti trasportare” .
Sta di fatto che se vi trovate a
vivere una esperienza come questa, sarete certi di non trovarvi davanti a uno
spettacolo ne tanto meno a uno spettacolo di danza contemporanea. Ma a molto di più e faticherete a scordarlo. Proprio perchè è difficile da descrivere e da "etichettare" è un qualcosa che va esperienzato, fatto proprio, dunque non descritto ma provato a tracciare con le sensazioni vissute.
Ci prepariamo ad entrare con una tuta bianca, incappucciati,
come se dovessimo annullare la nostra “forma” per perdere la con-formità a cui siamo abituati. La sensazione che
si prova indossando l’indumento è all’inizio estraniante, ci si sente goffi, impacciati. Ci fanno accomodare in sala, qui troviamo uno
spazio nello spazio, a forma rettangolare piuttosto raccolto - per una capienza massima di 40
spettatori - e li ci sediamo.
Poi entra Imre. Vestito di tutto punto, si siede e dopo
pochi minuti inizia a spogliarsi fino a rimanere completamente nudo.
Cosi inizia l’atto di trasformazione, mentre lo
osservo mi domando se sia davvero qui, davanti a me o se è altrove, il suo
sguardo sembra proiettato in un altro luogo, spazio/temporale che non appartiene a questo momento - mi viene in aiuto la descrizione di Roberta Bagni che descrive: "spesso durante la danza non ci si accorge di cosa e dove si danzi,
semplicemente siamo, semplicemente stiamo, in questo tempo presente,
come in una cerimonia in cui si consacrano antiche forme di vita,
memorie della terra, l’essere il qui e ora in piena umiltà di fronte
all’inesauribile pienezza di ciò che ci circonda." - ecco che il suo corpo ci
parla attraverso una ricerca minuziosa del movimento anche più impercettibile di cui non ci viene nascosto nulla, schietto sincero com'è, davanti a noi, cade, si rialza, ricade, sbatte continuamente
con le sue ossa, le ginocchia, la testa, le anche, tutto ritorna sempre
prepotentemente alla terra e lui sembra non curarsi del pavimento freddo, non
curarsi del dolore, ne dei lividi rossi che iniziano ad apparire nel suo corpo che inizia a
raccontare un vissuto estremamente intenso. Soffro un po per lui,
penso che le sue ginocchia esploderanno prima o poi, penso che la tuta mi sta
servendo, mi sento riparata, quasi protetta, perché ciò che vedo mi sta un
pochino “violentando” sull’immagine che ho da sempre del movimento e che con lui viene spezzata. In Irme vedo un linguaggio quasi primitivo, in cui tutto si azzera per ritrovare l’unicità
di una forma primordiale che va oltre la parola. Per questo credo non si possa etichettare
come spettacolo, qui lo spettatore, magari anche improvvisato, ha l'occasione di trovarsi di fronte a
una ricerca corporale dove
non c'è nulla di "finto" e capisci che è un privilegio - forse solo di alcuni - di riuscire a incorporare le esperienze sensibili, senza essere soggiogati
da ciò che ci osserva da fuori.
Unico.
I prossimi appuntamenti con il Festival sono ininterrotti fino a domenica 18 Novembre, intanto questo inizio settimana trovate:
Lunedi 12 alla Commenda di Pre'
h. 18,00 debutta in
prima nazionale "Campo", realizzato dal Gruppo Nanou con un gruppo di
studenti universitari
h. 18,30 va in scena "Safe Piece" di
Valentina Campora, che danza con i suoi figli di 5 e 1 anno, sulla
musica eseguita dal vivo dal loro padre
Martedi 13 a Teatro Akropolis
h. 20,30 va in scena "Again/ByNow. Anatomia di una felice
insurrezione" di ReSpirale Teatro, ispirato alla "Fattoria degli
animali" di George Orwell
h. 21,45 "Nuovo Eden" di Jessica Leonello,
su un uomo che si addormenta e si risveglia quindici anni dopo in una
città cambiata.
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