Le sottili relazioni tra yoga e teatro | Incontro con Francesca Proia

"Il mio lavoro consiste nella ricerca di uno stato energetico adatto ad una precisa composizione scenica. La filosofia dello yoga attraversa il mio progetto di creazione come filosofia che ha a che fare con la creazione del tempo"
 (Francesca Proia in Declinazione dell'immagine corporea)


Eccoci con la prima preziosa testimonianza contemporanea che ho avuto piacere di raccogliere circa le "sottili" relazioni tra training teatrale e lo yoga che da il via a un piccolo approfondimento che uscirá una volta al mese composto da interviste, testimonianze, date da peculiari personaggi del mondo del teatro che si sono "fusi" ad un certo punto col mondo dello yoga. 

Oggi incontriamo Francesca Proia danzatrice, coreografa, autrice e insegnante di yoga, che sin da giovanissima intraprende un percorso di studio dello yoga che diviene una forma di ricerca poetica appoggiata sulle tecniche sottili. 
E’ stata danzatrice e poi assistente coreografa del regista Romeo Castellucci per il progetto Tragedia Endogonidia (2003-2007). A partire dal 2010 si rivolge alla scrittura, mentre le sue performance prendono la forma di letture pubbliche ed eventi percettivi. 
Tra le sue pubblicazioni: Declinazione yoga dell'immagine corporea (Titivillus, 2011); La strada collettiva (Il Vicolo Editore, 2015); La cattura del respiro - Piccola guida yoga del signor Pranayama (Edizioni del Girasole, 2017).
Ha fondato a Ravenna Ivasi comunicanti, scuola di formazione per insegnanti di yoga.

Ciao Francesca, grazie per dedicarmi del tempo. 
So che pratichi yoga da giovanissima e altrettanto la ricerca teatrale è stata compagna della tua vita.

Puoi raccontarmi come hai incontrato lo yoga e il teatro?
F. Ho iniziato lo studio della danza a sette anni, perché i miei genitori avevano notato che, nonostante fossi molto timida, avevo senso del ritmo e danzare in casa era la mia attività preferita. Dunque, una volta trovatami nell'ambiente, è stato abbastanza facile, negli anni, venire in contatto con situazioni di ricerca coreografica.
È stato così che ho fatto le prime lezioni di yoga, anche se lo praticavo da sola a partire dai 13 anni.

Come si è modificato nel corso degli anni il tuo rapporto con lo yoga?  
Se si, in che cosa è cambiato?
F. C'è oggi un diverso grado di chiarezza che però è dovuto a un approccio aperto che ho avuto fin dall'inizio, in parte autodidatta, in parte basato sulla ricerca di chi fosse in grado di insegnarmi quelle cose che di volta in volta volevo approfondire. Se non avessi avuto l'impulso di studiare lo yoga senza avversioni, senza pormi limiti di lignaggio, stili, maestri etc. non credo che avrei potuto capire così chiaramente, nel tempo, la posizione reciproca di tutti questi oggetti.

Che cosa ha completato la pratica dello yoga (se l’ha fatto) nella tua ricerca teatrale?
F. Lo yoga è stato spesso per me un bacino cui attingere per definire intuizioni corporee alla base delle mie coreografie. Questo perché lo yoga rende molto concrete cose simboliche e viceversa, e per questo motivo si presta molto bene a scandagliare e inanellare le idee che possono essere alla base del processo creativo.

Usi lo yoga come training teatrale o preferisci scindere le due cose?
F. Uso lo yoga come training scegliendo ogni volta le tecniche che vanno nella direzione percettiva che cerco.

L’applicazione che ne fai della pratica dello yoga in cosa differisce secondo te da qualsiasi altra pratica corporale come lo stesso training?
F. Non so dire in cosa lo yoga sia diverso da altri metodi di training. Lo yoga però è un sistema che conosco e posso praticarlo in modo non superficiale.

Ti è mai capitato di portare in scena “lo yoga”?
F. Molti spettacoli che ho portato in scena sono stati ispirati da aspetti dello yoga: per esempio, le testimonianze di come Kundalini viene percepita fisicamente erano al centro di Buio Luce Buio; le posture che somigliano a un pugno chiuso in Qualcosa da Sala, o la percezione del corpo-soffio in Il non fare. Questi aspetti li ho descritti in dettaglio nel libro Declinazioni yoga dell'immagine corporea.

Usi dei pranayama particolari, o particolari tecniche di concentrazione, in preparazione agli spettacoli?
F. Non è così immediato, in me, il rapporto tra tecnica ed effetto, soprattutto per ciò che riguarda una preparazione "espressa" (es.prima dello spettacolo). Riconosco le forze (lo stress, la tensione, l'eccitazione, la paura, il senso del pericolo) e la mia impotenza a controllarle. Ci sono altri ambiti psicofisici in cui lo yoga ha presa, e da lì modifica la mia percezione e il mio rapporto con le potenze.

Da quando pratichi è cambiata la qualità della tua resa in palcoscenico?
F. Non mi è mai capitato di andare in scena prima che iniziassi a  praticare lo yoga; è una domanda cui faccio fatica a rispondere.

Cos’è per te lo yoga?
F. Lo yoga è una disciplina la cui questione è la messa a fuoco del senso del presente. Per questo motivo acquista il suo senso quando accettiamo il fatto che è una disciplina creatrice, che richiede un continuo posizionarsi, sacrificando le certezze perché, nel momento in cui una cosa diventa certa, per lo yoga muore.

Che cosa intendi esattamente con quest'ultima frase? Perchè nello yoga ogni cosa che diventa certa muore? E in tutto questo che ruolo hanno i simboli?
F. Intendevo dire che lo yoga è qualcosa che viene in vita ogni volta attraverso il praticante, attraverso il suo corpo, il suo percepito e ciò che ne deriva in termini di intuizioni. I testi dello yoga hanno la stessa qualità: sono testi "addormentati", che si risvegliano affinché una nuova esperienza prenda corpo in chi li legge con l'attitudine giusta.
Il cuore dello yoga è il presente.
Facendo un esempio sui simboli invece, i cakra sono delle realtà che comprendono sia plessi fisici che aspetti sottili fino ad astratti e altamente astratti. Non è corretto, per esempio, dire che il secondo cakra è l'osso sacro, ma neppure che è l'energia del bacino, o il loto, o la luna: il cakra è tutte queste cose insieme contemporaneamente. 
Più questo è chiaro più si comprende come questi oggetti, per la logica dello yoga, siano intercambiabili, e la possibilità che ne deriva è quella di sacralizzare il corpo (cioè il corpo viene reso partecipe di una dimensione mentale ultraquotidiana), oppure, al contrario, di scendere nel corporeo con in mano gli strumenti della mente (simboli, immagini atti a operare una rifondazione percettiva).

Se vi ha incuriosito e volete saperne un po di più lascio qui sotto i suoi link per conoscere da vicino i suoi lavori e la sua scuola:

https://minerascuoladiyoga.com/

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