ESPLORAZIONI | PART.1| FESTIVAL OPERA PRIMA – XVIII EDIZIONE

Attese

Ritorno a teatro e lo faccio immergendomi nell’ultima giornata del Festival Opera Prima a Rovigo nella sua XVIII edizione, che per me ormai sa di casa.

Ci arrivo con un bagaglio "emozionale" pesante, reduce da un inverno e una primavera difficile, non che la situazione ora delle migliori, ma tento di trovare un equilibrio, una sorta di adattamento per la sopravvivenza, che non e detto che sia la soluzione definitiva, ma in certi casi e l'unica possibile.

 

Ecco, con questo stato d’animo mi sono imbattuta in spettacoli dal sapore catartico, pregni di un insegnamento che, nonostante ne sia cosciente, faccio fatica a mettere in pratica ma che mi serve sempre sentire.

 

Si inizia al Museo dei Grandi Fiumi con l’assolo recitato/danzato di Chiara Frigo/ Marigia Maggipinto in "Miss Lala al circo Fernando"




Un ampio salone accoglie un piccolo gruppo di spettatori (ci sono 3 turni disponibili a distanza di ogni mezzora), in fondo alla sala ci sta aspettando Marigia Maggipinto, veste rossa, capelli semi-raccolti.

Ci accomodiamo, chi si siede per terra, chi sulle sedie, davanti a noi un tavolino basso, sufficientemente largo per ospitare diversi oggetti: foto, ritratti, disegni, biglietti scritti. Siamo invitati a sceglierne uno, quello che ci incuriosisce di piu, da li poi si snoderà il racconto di Marigia.


Marigia Maggipinto e stata una danzatrice del TanzTheater Wuppertal di Pina Baush, per dieci anni ha eseguito per lei 14 coreografie, vederla in scena e ascoltare i suoi racconti da l'opportunità  impagabile di entrare, anche solo per qualche istante nella sua vita, il districarsi tra le immagini scelte da cui si sviscerano i racconti accompagna lo spettatore nei frammenti della sua esistenza, episodi legati all'esperienza a Wuppertal direttamente ma anche indirettamente connessi. 

Un piacere ascoltarla, una gioia vederla muoversi in brevi intervalli danzati, memoria di un vissuto  che ha fatto la storia del teatro danza, nelle sue movenze, nelle gestualità', si intravedono gli insegnamenti di Pina. Ritorna molto, nei sui racconti, ciò che e stato forse l' insegnamento più importante:  essere pronti al cambiamento, alle volte repentino, senza avviso; le ha insegnato l'arte di affidarsi alla memoria del suo corpo, al suo istinto e a fluire nei cambiamenti, nelle trasformazioni, perché nella vita tutto cambia, tutto e destinato a trasformarsi e noi l unica cosa che possiamo fare e' essere pronti a farlo con lei, per trasformarci a nostra volta.


In Piazza Vittorio Emanuele incontriamo il Collettivo Rosario, compagnia di teatro, danza e canto, un connubio di nove performer che sotto la guida del regista brasiliano Charles Raszl indaga e sperimenta il ritmo attraverso l'uso del corpo (battiti di mani, calpesti dei piedi a terra, vocalizzi) permettendo

Tutti i componenti sono di formazione  artistica musicale e attoriale; il gruppo si caratterizza per la sua semplicità, la cui potenzialità che sta nello creare qualcosa di coinvolgente con pochissimo, partiture semplici e ritmate a cui il pubblico prende parte nell'ultimo tratto finale dell'esibizione. Nonostante la bravura e la preparazione dei performer, sa di qualcosa di già visto, che richiama l'antica arte del teatro di strada, sapori semplici e genuini.

Un piacevole intermezzo che accompagna lo spettatore verso lo spettacolo di fine sera.



Chiudo la serata con Matilde Vigna e il suo "Una riga nera al piano di sopra" in scena al Teatro Studio del Lemming.


Per mantenere alta l'attenzione nei monologhi - nel teatro di parola - bisogna essere gran bravi e Matilde Vigna lo e'. In una scena completamente vuota - se non per una pedana e la pianta che abbraccia - l'attrice tiene inchiodato lo spettatore sin dall'inizio, incuriosisce, fa ridere e commuovere allo stesso tempo, nella storia che narra a cavallo tra due tempi in un andirivieni senza interruzioni tra il 1951 e il 2021, tra l'alluvione in Polesine e il trasloco di una giovane donna trentenne, tra la disperazione delle persone travolte dall'acqua alle autoanalisi sul concetto del cambiamento, della separazione e dello smarrimento.  

Cos'hanno in comune queste due storie?

Il concetto del cambiamento, della redita, dello smarrimento.


E' davvero possibile perdere tutto? A cosa può aggrapparsi una donna di trent'anni per non cadere, quale può essere il suo approdo quando tutto attorno a lei crolla?


Riflessioni che si snodano tra il racconto storico e quello contemporaneo tracciano una linea su cio che si vive quando si perde qualcosa, che sia voluta o meno, la perdita rimane qualcosa di difficile gestione, destabilizza, ci obbliga a guardare altrove per trovare altri punti di riferimento, altre sicurezze, ci impone un cambiamento voluto o meno, che ci trasforma. Ma e' nelle piccole cose che ritroviamo l'essenza della nostra presenza, lo stare con poche cose ma che sanno di casa ci aiuta a reagire e ad affrontare il nuovo che ci aspetta, che spaventa sempre un po, voluto o meno.


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