Chiacchierata con I Sacchi di Sabbia


In una fredda serata d'inizio primavera, dopo aver assistito ai due spettacoli de I Sacchi di Sabbia
GROSSO GUAIO IN DANIMARCA e GLI ULTRACORPI al Teatro Villa dei Leoni di Mira il 22 marzo, ho il piacere d'incontrare per una chiacchierata informale parte della compagnia Toscana. Sarà la mia "vittima" in particolare Enzo Illiano.

CHI SONO I SACCHI DI SABBIA?
I Sacchi di Sabbia sono un gruppo che lavora a Pisa ormai dal 1994-1995. E’ un gruppo che si è formato durante gli anni dell’università, il nucleo storico era composto da Giovanni Guerrieri, Giulia Gallo, il sottoscritto, Enzo Illiano e Paolo Giomarelli che poi col tempo ha fatto altro.
Poi nel corso degli anni abbiamo iniziato a lavorare in uno spazio fisso, ad avere una residenza al Teatro Sant’Andrea, una chiesa sconsacrata, e li abbiamo incontrato altri collaboratori, che facevano parte di altre compagnie, come Gabriele Carli, Giulia Solano, Federico Polacci e Marco Azzurrini, col quale abbiamo fatto diverse produzioni e collaboriamo anche con i suoi spettacoli.
Da Pisa abbiamo iniziato a lavorare in un contesto che era quello dell’occupazione, come gli spazi universitari, successivamente abbiamo avuto la possibilità di lavorare in uno spazio che ci aveva dato l’occasione di fare delle piccole cose.
I primi approcci erano più vicini al cabaret che al teatro, poi negli anni abbiamo affinato il gusto e l’esigenza di esplorare nuovi linguaggi.
Infatti, quello che ci ha sempre caratterizzato, è stato il voler confrontarci sempre con i classi; per esempio il primo spettacolo è stato proprio “L’Otello una regata attraverso la televisione”, dove c’era un modo di riattraversare l’Otello contaminandolo col quello che era il teatro popolare di Totò e Peppino, o Leo de Berardinis o Enzo Moscato e tanti altri.
Negli anni successivi siamo riusciti ad uscire dal nostro territorio anche grazie allo spettacolo “Riccardo III, Buckingham e ‘a malafemmena”, con cui siamo andati al Festival di Santarcangelo, un occasione che ci ha permesso di ottenere una visibilità maggiore, uscendo dai confini della provincia di Pisa.

COME DESCRIVERESTE IL LAVORO CHE FATE SUL LINGUAGGIO SCENICO?
La ricerca sul linguaggio ha caratterizzato da sempre il nostro lavoro, che vuole mantenere un piede nel teatro tradizionale e nel popolare.
Per farti un esempio, qui a Mira due anni fa, abbiamo rappresentato il "Don Giovanni" di Mozart, con tre attori, che mettono in scena proprio il Don Giovanni, ma interpretandolo usando tutti i possibili rumori che potevano uscire dalla bocca, quindi compiendo una vera e propria  esecuzione del Don Giovanni, ma vocale.
Prima ancora avevamo fatto "Sandokan". Questo spettacolo è molto particolare perché decidiamo di rappresentarlo mentre prepariamo una zuppa.
Il testo, le parole, rimangono quelle originali del Salgari, ma portarlo in scena così è stato un modo di fare un lavoro nell’avventura rimanendo immersi nel quotidiano; un po’ come quello che faceva lo stesso Salgari, che parlava di queste avventure senza mai essere uscito dai confini - il famoso triangolo Verona-Torino-Genova - e lo spettacolo “Ultracorpi” è un po’ la continuazione di questo tipo di lavoro.

SOFFERMANDOCI UN ATTIMO SUL PRIMO SPETTACOLO DI STASERA, COME NASCE GROSSO GUAIO IN DANIMARCA?
Grosso guaio in Danimarca fa parte di questo filone shakespeariano, che per noi è un pò un divertimento che abbiamo nel confrontarci con l’aspetto classico, in cui si attraversa la storia dell’Amleto ma indirettamente, attraverso altre storie.
Affrontando questa tematica c’era la voglia di parlare dell’Amleto in modo leggero e senza grosse pretese. E’ stata anche un’occasione di ritornare a lavorare con Marco con cui c’è una grossa sintonia, e c’era la volontà di fare questo spettacolo da proporre in altri spazi oltre a quelli canonici teatrali, come all’aperto, rassegne estive, festival e altro, proprio per la semplicità che lo caratterizza anche a livello scenico.

CON GLI ULTRACOPRI, INVECE, SPAZIATE NEL MONDO DEGLI AUTORI CONTEMPORANEI.
C’E' UN MOTIVO PER CUI AVETE  SCELTO DI PORTARLI  INSIEME IN SCENA STASERA?
No, non c’è una necessità vera.
Ci piaceva poter mostrare due aspetti molto diversi del nostro lavoro. Quindi abbiamo deciso di metterli insieme. In altre serate, Ultracorpi, lo abbiniamo ad uno spettacolo di Pop Up, che si chiama "Abram e Isac". Sono aspetti anche questi completamente diversi, anche se in comune hanno questa voglia di giocare con dei linguaggi piuttosto particolari.
Nel Pop Up c’è una storia delicatissima raccontata attraverso questa tecnica particolare del libro, con una voce fuori scena delle attrici che arricchiscono la storia con dei rumori oltre che col racconto.
Come forma c’è un’assonanza, secondo noi, con Ultracorpi perché si portano in scena questi due personaggi “alieni” che si schiudono in forme umane ma parlano un linguaggio al pubblico sconosciuto e vengono per questo proiettati i sottotitoli alle loro spalle. Il tutto crea una situazione piuttosto comica e irreale.
Per Ultracorpi siamo partiti dal film Ultracorpi e dal libro di Jack Finney, L’invasione degli ultracorpi. Poi abbiamo elaborato il testo con Guerrieri, ed è quello che poi avete visto in scena.
Proprio per rappresentare queste realtà aliene che entravano a far parte della vita terrena abbiamo scelto anche di farli parlare lingue “sconosciute”, l’uno in dialetto porellano/napoletano e l’altro in russo.

SEMPRE NEGLI ULTRACORPI, L’INTERO “CLIPPINO” ERA ACCOMPAGNATO DALLE MUSICHE DELL’AIDA, PUOI SPIEGARCI BREVEMENTE IL MOTIVIO DI QUESTA SCELTA COSI PARTICOLARE?
Perché ci piaceva l’idea! Essendo uno spettacolo con intento melodrammatico ma assolutamente comico, l’Aida raffigura l’apoteosi del melodramma! I due Ultracorpi si schiudono, e purtroppo per loro in due corpi pieni di sentimenti. Uno è ultrasensibile e l’altro è pure un po’ paralitico, si schiudono male e, forse, nella peggior specie.

VOI VI ETICHETTATE IN QUALCHE MODO? VI RICONOSCETE NELLE VARIE DEFINIZIONI CHE DESCRIVONO I VOSTRI LAVORI?
Ma guarda, noi di fatto siamo partiti dal cabaret e siamo riusciti a farci vedere in quei luoghi abitati dal teatro di ricerca.
Da un certo punto di vista abbiamo avuto un’evoluzione stilistica e di linguaggio ma tendiamo a non decodificare il nostro lavoro.
Il nostro teatro ha semplicemente al centro l’attore, la forza attoriale.

ULTIMA DOMANDA, SCONTATA MA NECESSARIA, PERCHE' IL NOME SACCHI DI SABBIA?
Nel 1994 quando ci siamo formati c’era l’Arno che stava esondando e la città era piena di sacchi di sabbia. Nello stesso periodo c’era un politco, di cui non faccio nomi, che stava entrando in scena.
Noi ci siamo quindi ispirati alla situazione “meteo-politica” che stava accogliendo i nostri prima passi.

Per maggiori info su questa compagnia date un occhio la sito:
www.sacchidisabbia.com

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