STILL LIFE - Ricci/Forte
Succede sempre cosi, un po’ mi sento come quel palco li, che
aspetta silenzioso, in ordine e "composto" che lo spettacolo abbia inizio.
E alla fine mi sento ancora come quel palco li, buttato
all’aria, pieno di caos, di resti, pieno di cose nuove che lo hanno
attraversato in quell’oretta, ma che ne hanno fatto di lui un'altra cosa.
Vedere uno spettacolo dei Ricci/Forte è sempre così, per me.
Mi devasta dentro, mi scuote, è come ricevere tanti ceffoni
che ti svegliano dal torpore in cui sei spesso abituato a vivere, nonostante
tu sappia benissimo cosa c’è la fuori, cosa c’è attorno a te e come
quell’esterno, che apparentemente non ti appartiene, in realtà ti appartiene
eccome!
Te lo puoi anche ricordare, una volta ogni tanto, e poi ritorni assopito.
Quindi c’è chi cerca il risveglio dell’anima in tanti modi,
chi non lo ricerca nemmeno, io ci provo anche così.
STILL LIFE dei Ricci/Forte è andato in scena, in
data unica al Teatro Argentina di Roma, il 25 giugno per il ventennale della rassegna
"Garofano Verde" a cura di Rodolfo di Giammarco, con la volontà di rendere omaggio a una delle tante
vittime adolescenti del bullismo omofobico, un adolescente romano che si è
impiccato con la sua sciarpa rosa. Descrivere questo lavoro non è cosa semplice e credo che non lo farò.
Still Life è un massacro a cinque voci per una vittima, grazie alla presenza e bravura di Anna
Gualdo, Giuseppe Sartori, Fabio Gomiero, Liliana Laera, Francesco Scolletta guidati dalla regia dei Ricci/Forte, ci
parla di discriminazioni, di mobbing psicologico, di omosessualità che ancora
oggi non è accettata, additata come una cosa sbagliata, da nascondere sotto la
sabbia purché non se ne parli, purché non si sappia.
Da quando amare è diventata un’azione
sbagliata?
Da quando il bacio è diventato
un atto riprovevole?
Sono tante le scene che
colpiscono:
il corpo del giovane nudo preso
a calci
le teste ovattate dai cuscini da
cui fuoriescono finalmente le identità tenute nascoste (non di tutti)
la carne tritata come se si
fosse dal macellaio
i baci “all’asta” offerti al
pubblico
i pianti, affannosi e disperati, di due madri che elencano
cosa insegneranno ai loro figli per non farli crescere con la mente chiusa.
E poi ancora le storie dei ragazzi suicidi, delle tante
vittime che non hanno potuto sopportare il peso di tutto questo, e la
volontà di ricordarli con delle lettere, che parlano di loro, che raccontano la loro storia.
E alla fine non rimane che un
solo gesto, quello di scrivere i nomi di tutte queste persone che non ci sono più su un
grande cartellone bianco al centro del palco. Il pubblico viene invitato ad omaggiare
e a ricordare le persone che ha perduto.
All’improvviso non c’è più
separazione tra attore e spettatore, tra palco e platea, all’improvviso siamo uniti, tutti, per lasciare un segno, su quel foglio, delle
persone amate, perse ed ora ritrovate in questa serata che li ha riportati in
vita, che ha dato loro voce, che
non li ha fatti camminare in punta di piedi, ma ha fatto percepire quel vuoto che
hanno lasciato ingiustamente…
Ma forse, quel vuoto ce lo portiamo
dentro, forse quei morti siamo noi che ci accontentiamo di vedere fino ad un
certo punto, fin dove non fa male, fin dove si può ancora dimenticare.
Applaudo, senza stancarmi, questi
attori che ancora una volta si sono tolti la corazza mostrando la loro parte più
intima per arrivare dritti al cuore e li ringrazio perché ci hanno ricordato che
non esistono differenze, che siamo tutti uguali e che se siamo stanchi della
società che ci circonda il cambiamento lo dobbiamo fare noi per primi.
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