B.Motion_forever young
Quest’anno al B.Motion di Bassano del Grappa, sez di teatro contemporaeno dell'Opera Estate Festival, mi sono imbattuta nel
racconto “noir” dei Fratelli Dalla Via con “Mio figlio era come un padre per
me”; nelle fatiche fisiche di Ilaria Dalle Donne con “Alice disambientata”;
nelle mini-biografie del Teatro Sotterraneo con “Be Legend!” e nel mondo di
Nabokov tolto da Nabokov dei Babilonia Teatri con “Lolita”.
Ci troviamo di fronte Alice
(Ilaria Dalle Donne), un’Alice che si sta preparando, cammina velocemente
scandendo un quadrato preciso percorrendo l’ampiezza del palco delimitato da 4
fari, si toglie la felpa, si fascia i polsi, traccia a terra un percorso con
uno scotch bianco (fa pensare al grafico di un pentagramma), inizia a saltare
la corda. Alice on stage round 1,2,3, sono gli step in cui Alice si prepara,
combatte, cade a terra e si rialza. Sola. Un percorso denso, carico di energia
che prende sollievo e rabbia nel round finale intonando, da prima sottovoce,
poi dolcemente, fino ad un crescendo di rabbia e dolore “everything is fine”. Alice
ci da le spalle, cammina forse verso un prossimo round, il percorso è finito,
il bianconiglio è morto - finora rimasto un tutt’uno col suo corpo - è arrivato
il momento di lasciarlo andare, forse è arrivato il momento di andare avanti.
Il modo migliore per ucciderli? Facendogli morire un
figlio. Cosi morirà schiacciato dai sensi di colpa e di crepacuore. In scena
due fratelli (i Fratelli Dalla Via) cercano di capire, tra una partita di boero
e l’altro, chi deve morire tra di loro. Tra battute e ipotesi (tutte in
dialetto veneto) ipotizzano una morte “naturale”, un suicidio non suicidio.
E come?
Ammalarsi di pellagra, per esempio, potrebbe essere
una valida soluzione! Si deve mangiare sempre o quasi solo polenta, meglio se
istantanea (perché nuoce di più)! La morte arriverà ma ci vorrà troppo tempo. E
se i genitori decidono di uccidersi prima che tutto ciò succeda?
Un treno li porta via e con loro
se ne va il “piano perfetto”, dove il traguardo è sottratto ai figli che non
saranno mai all’altezza delle generazioni passate.
BE LEGEND!- Ma voi ve lo siete
mai domandati com’erano da piccoli Amleto o Giovanna D’Arco? Se avevano altri
sogni nel cassetto? Altre aspirazioni? E come vivevano? Giocavano come gli
altri bambini? Avevano amici?
Esilarante incursione nel
minimondo di due personaggi storici che hanno fatto leggenda. Questo il
progetto Daimon del Teatro Sotterraneo, ogni città, due puntate e due nomi, due
bambini diversi, che in 24 ore provano a “incarnare” la personalità del
personaggio preso in esame all’età di circa 10 anni.
A Bassano è stato il turno di
Amleto e Giovanna D’Arco. Unico elemento scenico: una casetta bianca posta alla
destra del palcoscenico. Sara Bonaventura e Claudio Cirri sono i presentatori
nonché interlocutori dei due giovani protagonisti, li introducono, li
presentano, li raccontano, li accompagnano nel conoscere il destino che li
attenderà.
“Cosa vorresti fare da grande
Amleto? Il giocatore di bocce o l’addestratore di cani”; “E tu Giovanna cosa
vorresti diventare da grande? Una cantante o una scienziata”. Ovviamente
sappiamo tutti che entrambi diventarono altro e sappiamo tutti che spesso ciò
che da piccoli sono i nostri sogni quando diventiamo grandi ci ritroviamo ad
averli persi. Se siamo fortunati teniamo sempre a mente le nostre passioni, se
ci va male le accantoniamo e diventiamo ciò che la società si aspetta che
siamo, ciò che i nostri genitori si aspettano che siamo, ciò che noi crediamo
di essere.
Teatro Sotterraneo ha la
capacità di fare una ricerca innovativa, fresca e unica; ironici nel loro modo
di mettere e portare in scena anche le situazioni meno semplici, con questo
progetto lavorando anche con i bambini, in realtà hanno individuato una chiave
di lettura che riporta il pubblico ai suoi sogni d’infanzia.
La prossima puntata di Daimon
sarà su Adolf Hitler e Oscar Wilde!
LOLITA
Per profumare di Lolita. Sono i
nostri occhi a vedere Lolita. E’ la nostra testa a volere Lolita. Sono le
nostre mani a immaginare Lolita. Lolita è un modello che la società impone. E’
una tentazione e un monito.
E’ la voglia di giocare col
fuoco e la paura di bruciarsi.”
Arriva
dal fondo della sala, Olga, sfreccia sopra al suo monopattino, fa due giri, poi
sale sul palco. Un palco scarno, senza illuminazioni abbaglianti, senza
“fronzoli”. Alcune caratteristiche cardine dell’estetica dei Babilonia
rimangono: le parole scandite e non recitate (ma non urlate, ne pronunciate
all’unisono) le cantinelle in bella vista, la musica sparata a volumi
altissimi. C’è però un approccio più delicato, meno punk, meno aggressivo, più
introspettivo. Valeria Raimondi e Enrico Castellani fanno un passo indietro,
lasciando la scena quasi totalmente ad Olga (guidata dalla presenza discreta di
Valeria), bambinAdolescente, lolita non lolita, alle prese con la crescita, gli
sms scritti in un italiano improbabile, le dichiarazioni d’amore, le domande
sull’esistenza, la fatica di crescere, il passaggio alle volte violento, spesso
quasi improvviso all’età adulta. Rimane sul fondo la voglia di essere ancora
leggere, come quando si è bambini, leggere come le bolle di sapone che
aleggiano nell’aria e che ricoprono il palco e la platea, leggere, senza
percepirle, leggere come il ricordo sbiadito di una lolita che è cresciuta, di
una lolita che non c’è più.
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