Chiacchierando con i Mali Weil
Incontro
i Mali Weil poco prima dell’ultima replica di Animal Spirits, all’interno di HOUSEMATES - durata dal 6 al 17 novembre - un progetto di coesistenza teatrale, promosso dal CRT di Milano, che sperimenta per la prima volta un specie di cohousing teatrale tra alcuni dei gruppi più vivaci e innovativi della sperimentazione, in cui tre compagnie per volte sono chiamate per condividere gli spazi del Teatro dell'Arte.
E’ una domenica pomeriggio in una Milano soleggiata. Arrivano insieme Lorenzo Facchinelli, Elisa Di Liberato e Mara Ferrieri, le tre personalità che danno vita al gruppo che si divide tra Trento e Berlino. Per capire com’è nato Animal Spirits, per conoscere un po’ più da vicino questo gruppo, decisamente innovativo, e per prepararmi all’immersione nel loro particolare concept store li ho incontrati (per me e anche un po’ per voi), ecco cosa mi hanno raccontato.
E’ una domenica pomeriggio in una Milano soleggiata. Arrivano insieme Lorenzo Facchinelli, Elisa Di Liberato e Mara Ferrieri, le tre personalità che danno vita al gruppo che si divide tra Trento e Berlino. Per capire com’è nato Animal Spirits, per conoscere un po’ più da vicino questo gruppo, decisamente innovativo, e per prepararmi all’immersione nel loro particolare concept store li ho incontrati (per me e anche un po’ per voi), ecco cosa mi hanno raccontato.
Chi sono i Mali Weil, come nasce la
vostra collaborazione e da dove nasce il nome del gruppo?
M. Ci siamo incontrati al corso di regia alla Paolo Grassi,
un corso di 4 persone, e abbiamo iniziato a lavorare insieme subito dopo la
fine dell’accademia, dal 2007, anche se ufficialmente dal 2008 con le prime
produzioni.
Il nome è nato dalla volontà di trovare un nome di
persona ma che fosse sufficientemente ambiguo da non lasciare immediatamente
capire la sessualità, la religione e la provenienza. Abbiamo, quindi, messo
insieme queste parole, queste suggestioni sonore, per creare una figura, un
ibrido, con cui ci firmiamo, non usiamo mai i nostri nomi.
Questo è l’ultimo giorno di
Triennale, dopo circa 12 giorni di programmazione continua, com’è andata? Che
risposta avete avuto dalle persone che sono entrate e hanno vissuto il vostro
concept store?
L. Innanzi tutto il contesto che ha accolto Animal
Spirits è stato molto particolare, siamo stati inseriti all’interno della rassegna HOUSEMATES - progetto di coesistenza teatrale per la prima volta proposto dal CRT di Milano - con altre due compagnie che fanno
altrettanti generi differenti, in un percorso inusuale in cui gli spettatori sono invitati a muoversi tra i diversi ambienti del teatro in successione, tra uno spettacolo e l'altro. Il pubblico arrivato al nostro lavoro rimane un po’ sorpreso - perché il contesto in cui entra è radicalmente diverso dal solito - ma successivamente, dopo il primo
momento di disorientamento, quello che emerge è che il visitatore ne rimane affascinato, è interessato, incuriosito e forse anche un pò disturbato. Certamente è un lavoro che non può essere catalogato nel “mi
piace” o “non mi piace” ma, secondo me, sicuramente
interessa a tutti proprio per la continua interazione col performer che crea una
situazione inusuale anche per il pubblico più abituato al teatro contemporaneo e alla performance.
Superato il momento della fase iniziale (magari più difficoltoso),la dinamica coinvolge e incuriosisce, proprio perché sei chiamato ad agire in prima persona, con una serie di domande. Per esempio ieri sera una signora è venuta da noi lamentando che il tutto era troppo “violento”, altre persone, invece, sono state entusiaste della possibilità di poter agire, interagire e di non essere passive in un lavoro artistico. Le forme di accettazione di questo lavoro sono quindi le più diverse, anche i feedback che ci arrivano da fuori ci confermano che tutti ne sono molto catturati…anche se il catturato può essere molto infastidito.
Superato il momento della fase iniziale (magari più difficoltoso),la dinamica coinvolge e incuriosisce, proprio perché sei chiamato ad agire in prima persona, con una serie di domande. Per esempio ieri sera una signora è venuta da noi lamentando che il tutto era troppo “violento”, altre persone, invece, sono state entusiaste della possibilità di poter agire, interagire e di non essere passive in un lavoro artistico. Le forme di accettazione di questo lavoro sono quindi le più diverse, anche i feedback che ci arrivano da fuori ci confermano che tutti ne sono molto catturati…anche se il catturato può essere molto infastidito.
Le risposte che ricevete dal pubblico le
archiviate?
L./M. No, il farsi della performance è totalmente in
live ed è assolutamente effimero, nel senso, è una “relazione” che nasce tra il
visitatore e il performer e finisce li. Muore quando te ne vai. Non rimane traccia
se non nella memoria, è un’esperienza. Inoltre, essendoci questa possibilità di
acquistare è possibile portarsi via qualcosa che resista nel tempo e continuare
ad avere, attraverso alcuni prodotti, un rapporto con noi. Ci sono, quindi,
delle forme di sopravvivenza legate anche agli oggetti, ma tutto è estremamente
personale – il proprio vissuto e ,eventualmente, quello che è stato comprato –
rimane solo l’ immaginario del visitatore e il nostro.
Mi potete
parlare brevemente del vostro processo creativo per Animal Spirits? Chi o che
cosa volevate raggiungere?
M. E’ nato dall’esigenza di lavorare “sull’animale
politico”, il contrasto quindi tra passività e attività nella sfera civica e
politica. Poi, ovviamente, si è trasformato, stratificato, si sono aggiunte
situazioni, è diventato più ambiguo - cosa che in realtà ci piace molto -
perché è leggibile da differenti punti di vista. Sicuramente volevamo
interrogare questo aspetto del contemporaneo, il ruolo dell’individuo nella
polis.
L. Oltre a questo, c’è l’interesse dell’aspetto
economico che viaggia sullo stesso binario, cerchiamo di articolare il lavoro
all’interno di dinamiche e forme economiche. Ecco perché abbiamo scelto di
trasformarlo anche in un’esperienza di “shopping”. Questa è un'altra linea di
ricerca che si affianca a quella più politica - anche se sono un po’ la stessa
cosa - il tema economico in realtà ci ha dato poi la forma principale, quella
del concept store.
Centrale Fies è un vostro sostenitore
in questo progetto, mi raccontate come si è sviluppata la collaborazione?
M. E’
nata circa due anni fa, con il lavoro precedente. La nostra associazione ha sede a
Trento e quindi condividiamo il territorio, poi ci sono stati dei periodi di
residenza che hanno portato alla nascita di WHITE NOISE MACHINE, presentato al
festival. La collaborazione continua a crescere e a strutturarsi per una grossa
spinta di interessi comuni, per il tipo di ricerca e per il tentativo di
sostenibilità anche economica, all’interno della performance - che in qualche
modo si autoalimenta - un concetto che interessa molto a Centrale Fies;
questo fattore legato al lavoro sulla comunicazione, che è molto forte, creano
dei punti in comune che stanno trasformando la collaborazione - che si è
costruita sulla base di questo lavoro - in una dimensione più progettuale, sempre
in crescita!
Guardando un po’ nel vostro archivio, i lavori precedenti, ho notato che c’è un filo conduttore comune, quello che vi porta ad indagare spesso sull’individualità della persona/spettatore (penso al Totem personale, al concetto di riassemblarsi/ricollocarsi in Metamorphosis Mood ad E.M.A l’archivio dei ricordi per la memoria collettiva) è possibile?
L. Si lavoriamo molto sul concetto relazionale che, se
vogliamo, è il terzo filone dei nostri lavori - meno tematico e forse più
formale - per noi molto importante che è la ricerca su delle forme di interazione,
delle direzioni per la performance dal vivo, la ricerca di alcune modalità diverse
di integrare pubblico ed opera d’arte. Il tentativo di coinvolgere direttamente
lo spettatore nasce da questo, da una ricerca relazionale dalle forme più
complesse, che non si limita ad incontrare il pubblico ma tenta di inserire il
visitatore in una dinamica in cui deve agire autonomamente. Inizialmente non
lavoravamo proprio così, è stata un’evoluzione, in circa tre anni, che ci ha
portato a sperimentare inizialmente i linguaggi più “tradizionali” legati anche
al teatro fino a portarci ad un progressivo distacco.
Se doveste usare
un’immagine per descrivere Animal Spirits, o il vostro animal spirits, quale
usereste?
M./L. Un’immagine iniziale che rimane stabile
è quella dello spettatore col mitra in mano. L’abbiamo scelta perché volevamo
offrire al visitatore una diversa immagine di sé, più pericolosa e più potente.
Questa è l’immagine di partenza,
con tutto quello che di buono e cattivo può portare con sé, è una figura che a
seconda del contesto sociale e politico può volere dire delle cose molto differenti
e anche molto ambigue.
Diciamo che, trovare un’immagine “unica” che rappresenti l’intero lavoro è molto
difficile, perché ne abbiamo davvero tante e siamo sempre alla ricerca di
visioni di questo genere, con la consapevolezza che se troviamo un’immagine che
può cambiare cosi tanto in base al contesto in cui viene posta e con l’immaginario
con cui viene letta allora, forse, quell’immagine è giusta.
Ce ne sono poi molte altre legate al mondo animale o a quello dei
bambini, anche se, sicuramente, l'iconografia del mondo animale che ci interessa
di più è quella delle corna, delle ossa animali. Nella cultura primitiva c’era
un profondo rispetto per l’ossatura dell’animale che era stato cacciato, lo
scheletro veniva poi conservato intatto e sepolto con la convinzione che
l’animale si rigenerasse. Questa è sicuramente un’immagine importante per
noi, perché simboleggia il voler rispettare questo cuore primitivo che è dentro
di noi e il suo rigenerarsi.
Vi rigiro la stessa
domanda che ho visto postata su facebook e che ponete al pubblico: avete mai
domandato come un bambino tutto ciò che volevate sapere?
L./M./E. Si! Ci capita spesso adesso, almeno
tra di noi si, quando lavoriamo, perché usiamo molto la domanda come metodo di
lavor e di ricerca.
Invece tra di voi,
quali sono i rispettivi ruoli? Chi fa che cosa?
L. In realtà abbiamo una divisone del
lavoro a posteriori. Chiaramente ognuno di noi ha degli interessi e degli
approcci al lavoro diversi. Io sono molto legato alla ricerca per immagini, ho
bisogno di vederne un sacco, tanti video, Mara ha bisogno di leggere, Elisa è molto
a metà tra le due cose, ha bisogno di sentire le cose in prima persona, per
questo scrive.
Quindi io guardo, Mara legge, Elisa scrive.
M. In realtà poi ognuno di noi è incline
a seguire determinate cose, chi la progettazione dello spazio, chi l’aspetto
dei testi e della comunicazione, chi la parte tecnologica ecc.
E. Abbiamo un ordine di lavoro ma è
ancora troppo caotico, vorremo che fosse più ordinato ma in realtà è molto
difficile che questa cosa arrivi a strutturarsi, prevede in origine un caos
iniziale con cui conviviamo.
Ultima domanda:
com’è la vostra giornata tipo?
L./M./E. Iniziamo la mattina con leggere
tantissime e-mail che poi ci strutturano la giornata!
A parte questo, la giornata tipo è sempre molto diversa, molto dipende se siamo in giro oppure se stiamo lavorando a un progetto, quindi
possiamo stare ore davanti al monitor oppure bazzichiamo alla ricerca di cose
più improbabili come teschi, maschere anti gas, dipende da cosa uno ha bisogno
di fare!
Poi, solitamente, almeno una volta alla settimana ci riuniamo per fare un punto
della situazione visto che abitiamo in posti differenti e ci dividiamo tra
Berlino e Trento, skype è eternamente acceso!
Quindi: iniziamo la giornata davanti al computer e la finiamo…davanti al
computer!
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