LO YOGA NEL TEATRO - K. Stanislavskij

Giorni strani qui in casa, segregati nelle proprie abitazioni, si tenta un po di tutto per distrarsi e non farsi sommergere dall'ansia e dal bombardamento delle notizie che arrivano quasi ogni minuto dall'esterno.

Mi piace scrivere, l'ho sempre fatto per diletto, per passione, unendo due cose che più amo fare: vedere teatro e raccontarlo. Oltre a questo dipendo dallo yoga, in maniera diversa dal teatro, è qualcosa che sento appartenermi nelle cellule, è arrivato dopo, qualcosina dopo del teatro, l'uno non ha estromesso l'altro, anzi, ho sempre cercato un modo amabile di farli convivere. 
Ci ho provato sin dall'inizio, con la tesi finale della scuola quadriennale per insegnanti, continuando poi a cercare delle interconessioni tra il metodo (lo yoga) e l'arte scenica (il teatro). 
I risultati sono tanti e non cosi scontati come si possa pensare.

Per questo ho pensato di dare vita a una piccola "sessione di approfondimento" per quanto riguarda questa tematica, lanciandovi qualche spunto, qualche connessione e relazione tra il mondo yogico cosi antico ed estremamente variegato e quello del teatro che attinge a dismisura da queste pratiche corporee.

La parola yoga nell'ambiente più diffuso, commerciale e nella sua traduzione più "scontata" significa unione (derivando dalla parola sanscrita yui che significa ‘unire’). In realtà, recenti studi e approfondimenti, in particolare del team Master yoga studies e dell' Hathayogaproject hanno evidenziato che tale parola, utilizzata tra l'altro in diversi testi antichi - e non prettamente legati alla "pratica dello yoga"- indicava in realtà una azione che tendeva più ad aggiogare, anche forzatamente, (si pensi sempre all'immagine del carro e dei buoi, chi può dire che il bue sia felice di essere "unito" al carro?) elementi opposti. Lo yoga, dunque, rappresenta "un metodo per" raggiungere uno stato o ottenere dei risultati; si potrebbe dire che lo yoga è una delle antropotecniche più antiche mai utilizzate e che nel corso dei milleni si è modificata, plasmata e diversificata come si è evoluto anche l'uomo, attraverso periodo storici, ambienti culturali e sociologici differenti. 
Mi preme dirlo e ribadirlo, a tutti coloro che ad oggi vanno a cercare lo yoga "autentico", lo yoga "vero", che non lo troveranno. Quindi evitate di mettervi alla ricerca in questo senso (almeno non fatelo in palestra), ma fate si che ciò che vi metta alla ricerca e sulla strada dello yoga sia qualcosa che state cercando dentro di voi.


Detto questo, il metodo (lo chiameremo cosi) è stato impiegato ed utilizzato anche da molti teatranti moderni e tuttora contemporanei, che lo utilizzano come parte a sostegno o totalizzante del training teatrale.

Tra i personaggi più importanti del teatro che utilizzarono il metodo tra i primi troviamo Stanislavskij (5 gennaio 18637 agosto 1938), ed è con lui che apriamo questo spazio di approfondimento.



Stanislavskij proveniente da un teatro d'amatori, dopo aver conosciuto la scena parigina e frequentato i corsi della scuola teatrale moscovita, esordì come regista (1889) ispirandosi ai metodi della compagnia dei Meininger che egli vide recitare a Mosca (1885-90). Teorico del teatro, sostenne il "naturalismo spirituale" dell'interpretazione scenica, curando la piena rispondenza della realtà al contenuto dell'opera nei drammi naturalistici e l'espressione di un'atmosfera spirituale in quelli simbolici. Cercò dunque soluzioni moderne trovando negli studi sulla psiche la possibilità di scoprire quali potessero essere le cause pratiche che inducono il comportamento dell’attore in scena.
Nel 1911 in vacanza a Capri si avvicinò alla commedia dell'arte e all'improvvisazione attoriale che permetteva di eseguire azioni molto più naturali e immediate. E' proprio in questo periodo che approfondì lo studio dello yoga e dell'induismo; questi approfondimenti gli permisero di attuare un metodo completamente diverso da quello che era in voga in quel periodo, in quanto chiedeva all'attore di essere sincero, dunque di non far "finta" di provare determinate emozioni o sentimenti ma di immedesimarsi in quelle situazioni e tirare fuori la loro autenticità.
Ecco che la pratica dello yoga, della mobilità del corpo prima, del controllo del respiro e del lavoro sopratutto sul mentale resero il suo metodo qualcosa di assolutamente innovativo.

Se io mi trovassi nelle sue condizioni, come mi comporterei?”. Partire da se stessi è anche un’accettazione di certi limiti: nessuno può fare di più di ciò che è, quindi è sbagliato partire da ciò che non si è. Ma attenzione ancora! Il proprio io non è un punto di arrivo ma un punto di partenza. Non si tratta di riversare se stessi nel personaggio. È solo l’inizio di un lungo percorso che serve alla creazione di un altro se stesso".

Niente risuona più famigliare a chi pratica o si è trovato a fare i conti col proprio ego sul tappetino, ambire a fare delle cose, oltrepassare i propri limiti, con risultati disastrosi. 

E ancora circa il metodo:

[...] il segreto stava nel liberare il potenziale creativo della mente, e il primo passo verso la possibilità di risvegliare in modo costante lo stato d’animo creativo doveva consistere nell’elaborazione di efficaci esercizi fisici e psicologici. Suler propose persino un nome per questi esercizi, “Yoga”, il termine sanscrito con cui i duchobory di Terranova chiamavano le pratiche fisiche e spirituali che compivano quotidianamente.
Questi esercizi yoga infondevano calma, sicurezza e determinazione. Inoltre Suler aveva appreso la nozione indù di prana, forza vitale invisibile che scorre in ogni essere vivente. Stanislavskij era affascinato dai racconti di Suler: il prana non doveva essere altro che lo stato d’animo creativo, chiamato in modo diverso.
E proprio da queste suggestioni traeva inizialmente l’ispirazione per elaborare i primi elementi del suo Sistema [...] (fonte startupteatro)

Questo incontro diede vita al Metodo Stanislavskij suddivisibile in 4 fasi fondamentali:
  • Conoscenza, che parte dalla lettura del copione e dall’analisi del contesto in cui si trova il personaggio;
  • Reviviscenza, che consiste nell’attingere dal proprio bagaglio emotivo le emozioni che il personaggio prova;
  • Personificazione, che permette di trasporre le emozioni richiamate nella fase della reviviscenza sulle azioni del personaggio;
  • Comunicazione, che riguarda la creazione di un rapporto con gli altri attori sulla scena.

Utile per capire il suo lavoro sono gli scritti che ci ha lasciato, ecco alcuni dove poter approfondire in questo periodo di "quarantena covid_19" :

La mia vita nell'arte, (1965)
Il lavoro dell'attore su sé stesso, (1990);  
 Il lavoro dell'attore sul personaggio (1956; 1988);
 L'attore creativo (1980);  
Le mie regie (1986).

Buona Lettura!



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