Vuoti di memoria, memoria nel corpo e velocità rarefatte| Livido e Bolide alla Biennale Teatro

Eccoci arrivati all'ultima Biennale Teatro curata dalla direzione artistica di Ricci/Forte, purtroppo quest'anno la mia incursione e' stata fugace. 

Sono partita il venerdì 28 di giugno per l'immancabile appuntamento del mese, un vero pellegrinaggio, dalla stazione attraversare Venezia a piedi, ponti, campi e calli, ma soprattutto le ondate dei turisti. Mi piace sempre andare verso la zona dell'Arsenale| Castello perché' il "traffico turistico" inizia a scemare, si può' camminare senza intrighi e arrivare in una delle zone comunque più' belle della città'.

Approdo in sala d'armi E per la mise in lecture di Livido per la regia di Fabio Condemi, testo di Eliana Rotella, in scena Marco Cavalcoli, Bianca Cavallotti, Eliana Rotella. 

E' la storia di un trauma, che cerca di risalire la superficie della memoria, di ritrovare traccia tra le pieghe del corpo e di un livido che racconta un vissuto importante. Si prova e riprova a raccontare l'inizio che vacilla, che non e' chiaro, non nitido, si cerca di capire come si sono svolti i fatti, gli attimi, le intonazioni i silenzi. E' difficile raccontare di qualcosa di cosi talmente traumatico di cui non si ha ricordo.


"Sul palco, le ombre nere di un incendio. È un lascito, un’eredità anonima. Sembra non si entri lì dentro da molto tempo. Il fuoco ha risparmiato i contorni squadrati di una finestra, sullo sfondo. Le imposte sono chiuse. C’è una lingua di edera che entra tra le fessure delle persiane". vicenda.

In scena  tre persone: Eco, Narciso e, tra loro, Ovidio al centro.  Questo il triangolo dove tenta di prendere forma la vicenda.

Ovidio è colui che racconta la storia, una storia che ha  ha vissuto davvero. Nel momento in cui parla, Ovidio crea la realtà scenica enunciandola, modificandola e riscrivendola, assistiamo ai tentativi di ricostruzione dei fatti i piu' possibili dettagliati. Gli accadimenti vengono incarnati ed agiti, da Eco e Narciso. Eco nella piega del gomito, nel cavo cubitale, tra le vene, all’altezza dei prelievi, ha una macchia verde. Un livido enorme, accecante. Una gemma durissima incastonata nell’epidermide. Quando un livido è verde sono passati circa sei giorni dalla contusione. È il segnale dell’inizio del processo di guarigione. 

Ma e' del dopo che Ovidio vuole parlare. Della sopravvivenza, della ricostruzione. Degli infiniti modi che possiamo immaginare per rimanere in vita. 

Succede che quando viviamo qualcosa di altamente intenso e violento il sistema nervoso per risposta di protezione e riparazione occulti quei momenti, portandoli nell'abisso della psiche, nonostante siano in qualche modo sepolti, ci sono dei dettagli, dei suoni, delle parole o dei silenzi che lo riportano in vita in tutta la sua angoscia. Come si sopravvive a un trauma che ti toglie il fiato? Che si autocensura per la dolorosità della sua entità?  La possibilità' di rivederlo, di riportare a galla, di ricostruirlo come un puzzle alle volte può' essere la soluzione piu' salvifica per elaborarlo e per ritornare a vivere.

Tre voci perfette, narrano un vissuto che potrebbe appartenere a ciascuno di noi, per riflettere sul tempo e sul potere della parola.

Usciti dall'Arsenale, in campo della Tana prende vita la performance site specific di Elia Pangaro assieme a Polina Sonis Deux Machine| Bolide


BOLIDE trae ispirazione dal Futurismo italiano (un Boccioni sfocato come unico elemento scenografico), dall’estetica gorpcore e bikercore, dalle teorie di Hartmut Rosa e da altri input visivi. 
Una performance sulle immagini e la loro velocità. Una velocità' condensata, rarefatta, movimenti scanditi e plasmati su uno spazio tempo quasi dilatato, prendono forma sotto un sole cocente.
Una velocità che rende più lent*, più pigr*, ma più produttiv*. 

Una velocità che non si arrende, che crea composizioni sceniche dense e molto "Matrix". 
Le infinite possibilità' sia del movimento, sia della resa del movimento, in questo lavoro viene ridefinito, ricostruito, abolendo la fretta, la superficialità',  e cercando in qualche modo una pulizia del gesto che diventa preciso e accurato.

Un atmosfera rarefatta, degna della calura di quella giornata.

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