La Semplicità di Marta
Metti una sera a Venezia.
Siamo a metà marzo, piove e la città si sta svuotando.
Arrivo da Padova in macchina, perché di treni ormai è una
rarità trovarne in tarda serata.
Ricapitolando: autostrada, quindi, macchina, parcheggio,
autobus e tragitto a piedi.
Un pellegrinaggio più che un viaggio.
Ne valeva la pena?
Decisamente si!
La semplicità
ingannata di Marta Cuscunà, ospitato al Teatro Cà Foscari di Santa Marta,
merita davvero.
Perché ci si trova di fronte ad una giovane attrice di rara
e intensa bravura. Non è facile, né semplice raccontare una realtà cosi lontana,
come quelle delle “Clarisse”, le monache del Santa Chiara di Udine, storia ambientata nel 1500, e non è semplice parlare di come le giovani donne del periodo finivano
nei conventi solo per dei fini economici, si, dei padri, che per risparmiare la
dote mandavano le figlie in convento anziché farle sposare.
Lo spettacolo, che si divide in “libro primo” e “libro
secondo”, prende spunto dal testo “Lo spazio del silenzio” di Giovanna Paolin e
narra, oltre alla vicende delle Clarisse, anche la testimonianza di una Monaca
indotta a clausura forzata, Angela.
Triste era il destino delle giovani donne che, magari, non
essendo proprio bellissime, magari con qualche difettuccio fisico, o meglio
ancora, con un carattere indomabile avevano come unica possibilità quella del
convento. Prospettiva di vita indotta sin da piccole, senza nessuna imposizione
apparente ma facendola attendere come l’unica soluzione possibile.
Brava Marta che è riuscita a descrivere in modo cosi
intenso, reale, scorrevole, sincero quel mondo cosi lontano, cosi passato (ma è
davvero così lontano?) pieno di testimonianze importanti. Le Clarisse di Udine
trasformarono la loro clausura in una libertà eccezionale, quella di essere ciò
che fuori non avrebbero potuto essere. Portarono dentro al convento una vastità incredibile di
libri, dei generi più diversi e diventarono un modello da seguire per
l’educazione delle giovani donne.
Le Clarisse fecero una cosa importantissima, aprirono la
loro mente, si unirono per combattere, per ottenere quel poco che le spettava
di diritto: la cultura, i libri, il sapere. E combatterono fino all’ultimo per
mantenere intatto il loro territorio.
Marta porta in scena questa vicenda, con la sola forza di un
monologo e grazie ad un uso del linguaggio personale e versatile.
La particolarità della Cuscunà sta anche nella capacità di sapere usare la
voce in modo straordinario, che le permette di impersonare tanti personaggi
differenti e un viso cosi malleabile da diventare ora il vecchio parrocco, ora
la giovane ragazza prossima alla clausura, ora il severo padre di lei.
Oltre a lei, sul palco, ci sono questi magnifici pupazzi
che l’attrice riesce ad animare in modo straordinario, dando a ciascuna delle
sette figure un’anima, una personalità e una voce sempre diversa, tanto da
dimenticarsi che ci sia lei a muoverle e a dirigerle.
Il suo è un teatro civile e artigianale, dove si potrebbe
pensare di aver visto già tutto quello che c’era da vedere e invece si rimane
affascinati e colpiti dalla sua bravura, perché non c’è un momento di
distrazione, si è sempre concentrati, coinvolti e appassionati a questa storia che
racconta una tematica drammatica ma lo fa in maniera semplice, ironica e
contemporanea.
La potete vedere a Milano, in scena dal 15 al 24 marzo, per
info cliccate qui
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