La Karneroika - "Il sentire primitivo" - Chiacchierando con Davide Antonio Pio
Sempre immersa tra il teatro contemporaneo e le performance ho "ripreso fiato" una domenica pomeriggio di maggio imbattendomi in un dramma musicale, LA KARNEROIKA, opera prima di un giovane talento italiano, Davide Antonio Pio, all'interno della Rassegna Internazionale di Teatro Classico Antico di Padova. Il libretto, la musica e l'orchestrazione è stata creata interamente da Davide mentre l'orchestra è stata diretta da Arden Hart.
La Karneroika, che si rifà all'opera di Sofocle "Le Trachinie", può essere descritta come un sogno greco d'un dramma sacro, dove alla base c'è stata una ricerca essenziale, sia nell'orchestrazione sia nella struttura, che ha creato le fondamenta per poter parlare di una condizione sempre attuale: la nostra natura di uomini, di esseri umani fatti di carne, di dolore, sentimenti e passioni.
Nonostante la mia condizione di profana verso il mondo della musica e dell’opera in generale, ho rivolto alcune domande a Davide per riuscire a colmare alcune "lacune" che forse hanno accompagnato la mia personale visione dello spettacolo.
Le domande, forse, saranno un po’ banali e verteranno più sull’aspetto creativo che non sul dettaglio tecnico.
Le domande, forse, saranno un po’ banali e verteranno più sull’aspetto creativo che non sul dettaglio tecnico.
Come nasce e
come si è sviluppato l’iter creativo per mettere in scena quest’opera?
I sogni imprigionano. Una prigionia
dolce, per quanto perversa. Comunque curiosa.
Come quella di Alice o di Hansel e
Gretel.
Ho iniziato ascoltando le opere degli
altri come fossero mie; non solo i classici ma anche lavori contemporanei, di
autori emergenti. La prima fase di questo percorso è stata molto veloce.
Abitavo ad Edimburgo e ho cominciato a scrivere il preludio, poi a mettere
assieme l'orchestrazione di alcune arie che ho in mente da anni.
Ho iniziato a sognare quest'opera.
Ma erano ancora simboli per me
incomprensibili, non sapevo cosa sognavo.
Com è giusto che sia.
A Londra ho lavorato su queste musiche
con un autore, Nick Bain, che si è dedicato per alcuni mesi ad un libretto in
inglese. Sarà che l'opera ha bisogno dell'italiano, sarà che la storia non era
quella giusta: la collaborazione per quel momento si è interrotta.
In un viaggio in Italia, in alcune
mattine, su un balcone, ho scritto un libretto di quaranta pagine partendo
dalla tragedia "Le Trachinie" di Sofocle. E aggiungendo continui
promemoria sulla speranza e sulla gioia.
Da lì è stato tutto in salita. Ho
coinvolto alcuni vecchi e nuovi amici: tra gli altri il musicista sloveno Marko
Kragelnik che ha messo assieme una favolosa orchestra ed il grande Arden Hart
che mi ha fatto l'onore di dirigerla.
Da qui bisognava cercare qualcuno che
volesse ospitare una Prima, in
forma di concerto: un po' per testare l'orchestrazione (e l'orchestra) un po'
per l'impeto irruente che un progetto come questo da (l'artista non è come Edmond Dantès, non vede l'ora di condividere tutto, così com è).
Il sogno comincia ad autoanalizzarsi.
L'opera non è ancora stata recitata, anche se avverrà presto: lì verranno fuori
nuovi simboli.
Perché hai
scelto proprio le Trachinie di Sofocle? C’era la volontà di comunicare qualcosa
di particolare? Un messaggio? Un tuo punto di vista? O semplicemente perché ti
piaceva?
Le Trachinie tratta della morte di un
semidio. Del figlio di Zeus, Eracle. Una storia "Et si Deus non daretur" perché - se si esclude la magia nera
che la attraversa - non c'è nulla di sovrannaturale. Il Dio si umilia e muore
per un amore geloso ed infelice.
Ho letto questa tragedia in un momento
particolare, durante un viaggio difficile, due anni fa.
Da Esidio, il primo che si è incoronato
(o fatto incoronare?) poeta agli stoici al sevizio dei romani passando per
"il maestro di color che sanno", Aristotele la letteratura greca (nel
bene, nel male e nel malissimo come nel caso della condizione femminile) non ha
smesso di dettare legge nella cultura occidentale.
Questo perché il mondo greco si rifaceva
ad una sapienza preesistente, primitiva, robusta, fisica: noi che ci rifacciamo
al mondo greco abbiamo perso il contatto con la sapienza che ha ispirato questo
mondo.
Il mio desiderio, nell'utilizzare questo
testo (per quanto stravolto in maniera intenzionalmente provocatoria) è proprio
di risvegliare il desiderio di sentire
primitivo che la tecnologia ci strappa via, ogni giorno di più.
In scena ci
sono un’orchestra da camera, 9 voci e
tante parole. Il libretto è in italiano con incursioni però anche di
altre lingue, se non erro, inglese, sloveno, latino. In questo connubio di
lingue e nell’interpretazione operistica non ho potuto fare a meno di notare la
staticità degli interpreti e alcune volte della loro “assenza”, quasi di
distacco, rispetto a quello che stavano eseguendo.
Mi viene da
pensare che forse volevi “solo” la musica come protagonista senza nessuna
interpretazione personale annessa, mi racconti come mai hai scelto queste
soluzioni?
I motivi sono due. Il primo fa parte di
un mio lungo lavoro di analisi sull'interpretazione. Ho chiesto ai cantanti
(tutti sloveni, in questa occasione) di non cercare di tradurre il testo che
cantavano. Un po' perché credo che conoscere superficialmente una storia
millenaria come quella del ciclo di Eracle non sarebbe bastato a comprendere
tutte le azioni e quindi non avrebbe dato abbastanza intensità ai personaggi,
un po' perché volevo massima libertà nell'interpretazione: i cantanti sapevano
che si trattava di una tragedia alla quale ho aggiunto versi di speranza, credo
sia bastato.
Il secondo motivo è prettamente pratico:
ho registrato i concerti e mi serviva, nelle voci, un'attenzione meccanica alla
tecnica ed alle "note" dato che questa registrazione servirà da guida
per futuri interpreti.
“Perché dare
questa forma ai propri fantasmi? Non lo so.” .
Questa frase, che
dici nella presentazione della tua opera, mi ha colpito molto, sembra quasi che
tu abbia utilizzato La Karneroika per “esorcizzare” qualcosa, per risolvere
delle questioni interiori. Se cosi fosse, ci sei riuscito? Hai trovato ciò che
cercavi?
Non credo si scriva per altri motivi se
non per tirare fuori un malanno, tenerlo un attimo tra le mani per capire cosa
non va e decidere se sistemarlo o meno.
Una storia come quella de "Le
Trachinie" offre decine di spunti in questo senso. La famiglia, l'amore,
il possesso, la vendetta, l'odio.
Una risposta decente non te la so dare,
credo di essere stato guidato a questa scelta: tra dieci anni ti saprò dire
magari perché ho fatto questo lavoro in questo modo.
L’ultima
domanda è un rito per me.
Com’è una giornata di
Davide Antonio Pio?
Mi alzo prima dell'alba, ringrazio l'universo
con cura, leggo (spesso ad alta voce). Grazie al cielo (e alla terra) le 15/16
ore successive sono sempre diverse (così faccio in modo che sia).
Ogni sera, prima di andare a dormire,
prendo due fogli bianchi. Sul primo scrivo le cose che mi sono dimenticato di
fare e che devo necessariamente fare il giorno dopo. Lo metto vicino al
computer. Per alcuni giorni poi sono le stesse cose. Non si può cambiare piani
se non se ne fanno.
Sull'altro foglio scrivo le cose che ho
fatto durante il giorno controvoglia (e che non sono valse lo sforzo) e che hanno causato un danno a me o ad altri.
Serve ad evitare di fare quelle stesse
cose in futuro. Funziona!
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