ALLA MARATONA BIENNALE COLLEGE IL PRANZO E' SERVITO

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Il fil rouge di quest’anno della Biennale Teatro è stato tracciato dal tema importante delle Drammaturgie.
Titolo volutamente lasciato al plurale - un pò per manifestare la diffcoltà e la sfacettura di questo "scomparto" nel definirsi - in particolare ai giorni nostri. Il panorma del ventunesimo secolo è cosi eclettico e diversificato che ci induce a chiederci: tra la scrittura teatrale e la scrittura scenica c'è confine?

Perchè non trovare delle analogie tra la costruzione di uno spettacolo con la creazione di una ricetta gastronomica?
Infondo, per fare un buon piatto, c’è bisogno di materie prime di alta qualità, di materie di base che, di fatto, corrispondono a quella che teatralmente si chiama grammatica e che sono necessarie per rendere sofisticata anche la più semplice delle ricette, poi c’è da considerare le mani che creano questa ricetta, di chi sceglie gli ingredienti e li amalgama.
Con questi presupposti sono stati chiamati sei Maestri presenti alla Biennale per lavorare su una “ricetta” qualsiasi per l’esito finale dei laboratori tenuti della Biennale College. 

Mi preparo per la maratona CAFFE', TE' O TAXI?: acqua fresca, caffè, ultimo snack, zittisco il telefonino e tiro fuori il blocchetto per gli appunti (peccato che poi completamente al buio della sala è una azione inutile, devo decifrare i geroglifici senza senso il giorno dopo ☺). Ho tutto l'occorrente e corro fiera verso i 210 minuti di performance sequenziali che mi attendono.

Iniziamo alle 16 con FRANCO VISIOLI e ANNELISA ZACCHERIA in ALGORITMO
Ci accoglie una chitarra elettrica, seguita poi da una composizione sonora condivisa tra tromba e musica elettronica. La performance appare studiata e scandita dal suono e diventa telaio importante  struttura scenica in cui tutto si relazione col suono, gli oggetti, i perfomer e le azioni creati con gli oggetti stessi. Possiamo dare nuova vita alle cose? Possiamo utilizzarle con altre intenzioni? 
Nella perfomance ci si interroga e si rimane calamitati in prima cosa proprio dalla partitura del suono che accompagna e sostitene tutto il lavoro, per una drammaturgia scenica.


MONICA CAPUANI con IN(SALA)TA MISTICA
ci catapulta nell'esatto opposto rispetto alla perfomance appena vissuta.
Qui è il testo protagonista assoluto, gli attori disposti su una unica riga, con copione alla mano, si suddivodono brevi minuti di monologo o dialogo in successione. Testi presi dalla "biblioteca" più accativante della Capuani come quelli di: Annie Baker, Caryl Churchill, Edward Albee e Brian Fiel.
Troviamo quindi il testo a servizio del pubblico, la parola, portata ad esperienza dello spettatore nella sua più pura semplicità e altrettanta forza. Per una drammaturgia del testo.


THOM LUZ con PARTITURA INCOMPIUTA 
ci immerge in un viaggio attraverso una scena data dal dettaglio e dalla presenza del corpo scenico i cui movimenti scandiscono una sinfonia che si sviluppa attraverso tante micro scene e azioni, ripetute, con l'ausilio dei vocalizzi e della voce, incrementa questa azione poetica ed equlibrata, si usa lo spazio, si usa tutto, come se fosse una città, si perlustra il dettaglio, in cui il performer è invitato a costruire la scena, sentendosi libero di creare ma allo stesso tempo con la responsabilità della struttura sinfonica da costruirsi in armonia col resto. Per una dramamturgia del corpo.


SUSIE DEE con M/M/M  
porta lo spettatore all'interno della sua "ricetta" pensando a tre ingredienti principali: Sostanza, Scompiglio, Significato.
La prima scena ci trasciana dentro a questa composizione, inizialmente dal ritmo lento e costante,
che viene successivamente frammentata in tante micro scene delicate e intense, in cui movimento e pausa, poesia e forza, si alternano. La combinazione di suono, movimento e azione fa si che il risultato sia estremamente impregnante e d’effetto. Per una drammaturgia per immagini e suono.


MICHELE DI STEFANO con DRY MARTINI 
si concetra sul corpo inteso come voce e, secondo questo principio, i tanti corpi presenti in scena diventano un unico coro amalgamato nel ripetere gli stessi gesti, in sequenza, o solo alcuni di questi che vengono presentati all'inizio del lavoro. 
Due sono "gli atti" che compongono questa breve perfomance che vede i giovani attori indossare una medesima "divisa" nera, declinata in varie tipologie. Il primo atto li vede ballare, il secondo li vede canatare in playback, le azioni sempre ripetute, simili ma sempre diverse, inducono lo spettatore a seguirne il ritmo e a divernirne partecipi. Per una drammaturgia del corpo.


JULIAN HETZEL con THE ART OF IMPACT 
Ci porta all'interno di un fantomatico "fight club", in cui la parola d'ordine è battersi, con chiunque,  per la propria battaglia personale, per i propri ideali, per i propri principi, c'è chi si batte per le stelle. Non interessa cosa succederà su quel ringh, interessa resistere e uscirne vincitori. I combattimenti si susseguono ininterrotti fino a mantenere gli ultimi due superstiti in lotta tra di loro.

Chi vincerà? Ma poi, Si può parlare di vittoria?

Pensandola in un contesto più esteso la perfomance ci porta a riflettere sulle nostre battaglie quotidiane, che sembrano non avere mai fine, in cui ci sentiamo afflitti, e in cui ogni giorno passiamo dall'essere vittima e carnefice, ciclicamente, e senza essere mai vincitore su nulla. 
Per una dramamturgia scenica.


Courtesy: La biennale di Venezia
Credits: Andrea Avezzù
Visto il 5 agosto 2019 - Teatro delle Tese - Arsenale (Ve)



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