Le Sottili relazioni tra lo yoga e il teatro | Incontro con Emanuela Genesio
Per il nostro sesto incontro tra yoga e teatro - e anche col mondo dell'arte visuale e performativa in generale - ho avuto il piacere di raccogliere la testimonianza di Emanuela Genesio, da anni impegnata nell’insegnamento universitario dell’arte moderna e contemporanea, si occupa e pratica l’interdisciplinarità dei linguaggi contemporanei attraverso la teoria e la pratica dell’arte visiva. E’ insegnante certificata RYT 500 Yoga Alliance, è parte del corpo docente della Scuola Internazionale di Yoga Hari-om.
Forze di vita, Emanuela Genesio, tecnica mista, 2019 |
Bentrovata Emanuela, grazie per dedicarmi del tempo. Il suo percorso tra arte e yoga raffigura la possibilità di far incontrare ed abbracciare queste due discipline e governarle senza compromettere l’una la ricerca dell’altra, ma anzi potenziandone le qualità.
Può raccontarci qualcosa di più? Come ha incontrato l’arte e come è iniziato il suo percorso in questo ambiente?
Non credo ci sia stata un’epifania nel mio rapporto con l’arte. Se non suonasse presuntuoso direi che c’è sempre stata. Dai miei genitori ho ricevuto la sensibilità verso le cose fatte con gusto, estro e onestà. E quando ho cominciato a pensare al mestiere da fare “da grande”, mi è apparsa chiara la necessità di muovermi nel campo della ricerca estetica. Il come e gli esiti hanno assunto varie forme: quella dell’ambito accademico con l’insegnamento, della pratica pittorico-performativo-installativa con mostre ed eventi, del workshop interdisciplinare restituito attraverso testi scritti o progetti pubblici.
Si ricorda com’è avvenuto il primo incontro, invece, con la disciplina dello yoga e come si è innestata (se fosse) con la ricerca performativa?
Ho incontrato lo yoga come conseguenza. Conseguenza delle ricerche sul pensiero orientale, cinese in particolare, che non ho mai distinto da una pratica artistica. Ho vissuto molti anni a Parigi, dove ho cominciato a praticare il Qi Gong e il Tai Chi e la pittura tradizionale a inchiostro di china. Mi ha sempre interessato scoprire l’origine delle cose e cercare radici comuni a pensieri diversi l’uno dall’altro. Sono perciò sbarcata allo yoga dopo aver frequentato l’oriente per vie teoriche e pratiche, riconoscendo in quella disciplina molti degli strumenti che stavo usando. L’indivisibile unità di mente e corpo cantata anticamente dai pensieri che oggi chiamiamo yogici è ciò che mi questiona con più assiduità.
Il metodo (lo stile di yoga) che ha incontrato è rimasto sempre lo stesso o è cambiato?
Benché formi insegnanti e proponga quotidianamente classi che si chiamano “yoga vinyasa, yoga dinamico, yoga-meditazione, yoga nidra, yoga-chakra…” fatico a definire lo yoga. Più si frequenta la teoria e la pratica, i testi antichi e le tesi contemporanee di chi ha dedicato una vita a questi studi (mi riferisco a personaggi come Federico Squarcini o Mark Singleton), più appare evidente che lo yoga oggi assume forme svariate anche estremamente lontane l’una dall’altra. Se si parla di metodo, però, posso dire che sin da subito ho assunto la creatività come fil rouge, portando rispetto alle fonti antiche ma adeguando gli strumenti ai miei interessi e al tempo in cui vivo. Per “miei interessi” intendo l’indagine del rapporto tra espressioni artistiche (musica, danza, arti visive) e “pratica yogica”. Mi sembra oggi che non si tratti di un pretesto: in altri artisti contemporanei, il valore della contemplazione, la meraviglia del momento poetico, si dischiude dall’unione di mente e corpo, sia nell’atto della creazione che in quello della fruizione.
Come si è modificato nel corso degli anni il suo rapporto con l’arte visiva e la ricerca yogica?
Non so se si sia modificato. Penso piuttosto che la comunione tra arte e vita, mestiere e passione, si sia rinforzata negli anni. Ho abbracciato con più naturalezza l’interdisciplinarità, già fondante l’intuizione iniziale, accogliendola con più serenità. Unisco lo yoga e il Qi Gong, movimenti estrapolati dalla danza, poesia e arti visive provando a non fare errori di grammatica, ma concedendomi l’ascolto profondo al di fuori di etichette imposte.
Che cosa ha completato la pratica dello yoga (se l’ha fatto) nella sua ricerca e di racconto attraverso l’arte?
Recentemente, durante una delle lezioni di Arte contemporanea tenute all’Istituto Europeo di Design, mi è capitato di notare quanto il mio linguaggio si fosse arricchito di termini interni alla teoria e pratica dello yoga e del Qi Gong. Nello stesso tempo, il tema della relazione, basilare nelle filosofie e pratiche orientali è presente anche in molti artisti contemporanei che lavorano performativamente. I linguaggi possono a volte sfiorarsi, se non sovrapporsi fino ad aderire l’uno all’altro. Con il corso che ho tenuto alla Scuola Holden poi, ho provato a sondare il campo della creatività da entrambi i punti di vista: quello del praticante di yoga contemporaneo e quello del creativo-artista. Le ricerche più attuali sul tema sono entusiasmanti.
Quanto “yoga” c’è nelle sue esperienze artistiche? Sono due ambiti che rimangono scissi o riescono a permearsi?
In alcuni casi, come Sign in o altre lezioni-performance come Segni vivi può sembrare che lo yoga abiti completamente la pratica artistica. Nello stesso tempo, e questo mi diverte, posso affermare anche il contrario. Con altri colleghi (artisti, musicisti e architetti in particolare) ho lavorato per molti anni sul rapporto tra territorio e giovani creativi, dando vita alla manifestazione vistaesuono, eventi di arte contemporanea tra storia e luoghi. Abbiamo provato a coinvolgere persone lontane dal mondo dell’estetica e delle pratiche orientali in esperimenti sul rapporto tra respiro e movimento, caso e progettazione, impermanenza (o effimero per dirlo con termini più vicini alle arti) e contemplazione. In ultimo, mi è capitato di creare pitture per Studio yoga (come lo Yoga Space di Bergamo o la sede principale della Scuola Hari-om di Alessandria) provando a immaginare forme visive dei chakra, degli elementi o bhuti raccontati dalle filosofie yoga.
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