WE HUMANS | Biennale Danza


La danza appartiene all'essere umano?

Puo' esistere la danza senza corpo?

Possiamo accettare che l'intelligenza artificiale sostituisca anche questo aspetto? Ci riuscirebbe?

Cosa rimane della danza, del movimento dopo che e' stato vissuto, esperito e osservato?

Lo spettatore, in qualche modo, danza lui stesso attraverso lo sguardo?

Queste e mille altre domande aleggiano nella mia mente mentre cammino nel lungo percorso che si snoda nella zona Arsenale tra le sale e i teatri,  nei ritagli di ombra per evitare il disagio del calore in questa rovente Biennale Danza, giunta al quarto anno sotto la guida di Wayne McGregor che quest'anno ha scelto il tema di "essere umani"

La mia prima tappa e' in Sala delle armi E per FLAT HAZE di Cristina Caprioli9 ore di coreografia in continua trasformazione che si svolge dalle 11 alle 19.


Flat Haze di Cristina Caprioli - ph mia

Entro poco dopo le 14 e ci rimango per circa 30 minuti. Lo spazio ampio e' attraversato da un filo sottile che si estende per miglia da una parete all'altra disegnando in qualche modo una scena attraversata da un banco di nebbia, e' suddivisa in strati paralleli, cosi da liberare la stanza da una nitida visione di insieme e trasformandola in una vibrazione insonorizzata che condiziona e plasma il movimento delle figure che si muovono come alieni nello spazio con precisione e cura, danzando in ogni modo qualcosa di incerto, che mentre si crea si disfa, mentre si esegue si cerca nella veridicità'. Un continuo provare a perlustrare attraverso il movimento quello spazio frammentato accompagnati per lo più' da un rumore bianco armonico che struttura la scena. Una pausa, una ripresa, un sentirsi prima di abbozzare la forma, il movimento nasce, si esplora fino ad un certo punto per poi lasciarlo dissolvere. Uno spazio in cui lo spettatore entra senza "appuntamento", silenzioso si siede e inizia ad osservare li dove i performer sono arrivati, non c'é' inizio, non c'e' fine, uno spazio che si apre allo sguardo e diventa contemplativo, senza pretese, senza domande, ti abbraccia e ti accompagna per poi lasciarti andare e farti rientrare.

La performance promuove il sottile filare della coreografia e suggerisce che una vista parziale e l'immobilita' indistinta sono le migliori condizioni del danzare e dello stare assieme.

La seconda tappa mi porta al Teatro delle Tese per lo spettacolo di Cristina Caprioli DEADLOCK. 


Deadlock di Cristina Caprioli - Courtesy La Biennale di Venezia, ph. Andrea Avezzù 

Prima di entrare indossiamo dei copri scarpa, ci invitano, prima di sederci, ad attraversare lo spazio che sarà' poi luogo dello spettacolo, uno spazio sinuoso, costeggiato da pareti tondeggianti e serpentiformi, che si aprono e si restringono dando l'idea di uno spazio che ricorda una clessidra.  Su queste pareti inusuali che descrivono e circoscrivono lo spazio vengono proiettate delle immagini di corpi che si muovono, che danzano, che camminano, che fluttuano, alle volte sfuocati, non definibili. La danzatrice Louise Dahl entra in scena vestita con pantaloni e casacca beige, pulita nello sguardo e nei movimenti inizia a danzare, multipla nella sua singolarità', superficie piana con profondita', riflesso di una proiezione umana non piu' solo umana. Siamo ipnotizzati dalla danza spericolata e precisa, puntuale e ordinata serialmente, incarnata performativamente, ripetizione, esplorazione, si apre negli spazi ampi si restringe in quelli costretti, e noi la seguiamo, lo sguardo la sostiene e ne rimane imbrigliato, in questo movimento che sa di rarefatto e reale allo stretto tempo.


Deadlock di Cristina Caprioli - Courtesy La Biennale di Venezia, ph. Andrea Avezzù 

La terza tappa e' al Teatro Tese dei Soppalchi con HUMAN IN THE LOOP di Nicole Seiler, coreografa Svizzera che porta in scena un tema a lei caro, indagando la questione quella degli ibridi, dell'incontro tra due realtà' che appaiono agli antipodi ma che in realtà' possono coesistere, alimentarsi e creare una coppia ben assortita. In questo caso ci si pone la domanda di che cosa succederebbe se prendesse parte alla composizione coreografica l'intelligenza artificiale.


Human in the loop di Nicole Seiler - Courtesy La Biennale di Venezia, ph. Andrea Avezzù 

Lo spettacolo si svolge su un palco vuoto, uno spazio circoscritto da un quadrato disegnato sul pavimento delimita la zona d'azione dei due performer - Clare Delorme e Gabriel Obergfell - che disposte fuori dal reticolato attendono indicazioni in cuffia dall'intelligenza artificiale per poi accedervi. Le azioni si susseguono, scandite a blocchi,  brevi scene,  con un inizio e una fine dell'esercizio, spesso con movimenti ripetuti ma allo stesso tempo ripresi e ampliati, rimodulati. Un quadro che diventa opera sia della macchina che dell'umano.  Ma che rimane in qualche modo distaccato, freddo, robotico, poco empatico e dunque poco stimolante. Un dialogo sulla danza tra umani e cyborg e' possibile? A mio avviso si e' ancora molto distanti e il prodotto che ne esce non stimola la percezione visiva e sensibile negli occhi dello spettatore, che rimane un po imbambolato e annoiato. 

Human in the loop di Nicole Seiler - Courtesy La Biennale di Venezia, ph. Andrea Avezzù 

Sicuramente oggetto di indagine fertile, potrebbe portare nuovi quesiti e sviluppi, credo altresì che la danza sia comunque affare principalmente dell'umano, li dove ci sono terreni di indagine sensibile e risveglio percettivo li si snodano le infinite soluzioni di movimento risvegliano aspetti emotivi anche in chi guarda e si relaziona visivamente con l'opera, cosa che dubito possa fare una realtà' artificiale.

Commenti

Post più popolari