Oriente Occidente | Corpi fuori scena, tra assenza e vibrazioni


Il Festival di Danza Oriente Occidente, a Rovereto, quest’anno ha messo al centro i corpi: corpi assenti, corpi fuori scena, fuori categoria. Corpi che disturbano, che non corrispondono alle aspettative, che provocano. Si tratta di un ritorno necessario. Al centro non c’è solo “il corpo”, ma i corpi: molteplici, invisibili, trascurati. Corpi che riprendono spazio, dove l’assenza diventa presenza politica, narrativa, poetica.

La piccola Rovereto si trasforma così, nel periodo del festival, in un contenitore vivo di scambi e riflessioni. I manifesti che tappezzano il centro richiamano alla condivisione, all’incontro, alla possibilità di vedere dove di solito non si guarda.
Oriente Occidente non è solo spettacolo: è luogo critico, fatto anche di conferenze, mostre, performance, laboratori.
È uno spazio dove si può restituire ciò che è stato rubato, ascoltare ciò che è stato taciuto.

E a parlare — anzi, a danzare — è soprattutto il corpo.
Con i suoi gesti, con la sua resistenza, con la sua memoria.
Con la danza si rende visibile l’invisibile: e allora anche l’assenza diventa corpo.

Due sono gli spettacoli che ho incontrato.

Gloria Dorliguzzo | Dies Irae – Concerto per donne e martelli

📍 MOMOfficina, ore 18.00

La prima performance che ho avuto modo di vedere l’8 settembre è "Dies Irae – Concerto per donne e martelli" della coreografa Gloria Dorliguzzo.


Lo spettacolo si è svolto al MOMOfficina, ex officina meccanica riconvertita in uno spazio creativo nel cuore di Rovereto, affacciato sulle rive del torrente Leno. Un luogo industriale e ruvido, ma al tempo stesso carico di memoria e potenziale espressivo.
Il MOMO mantiene alcuni elementi architettonici originari, che lo rendono uno spazio ibrido, sospeso tra passato e presente, perfetto per ospitare un’opera che parla di forza, resistenza e liberazione.

Dorliguzzo porta in scena un’opera che fonde arti marziali e danza, in una ricerca che esplora il ritmo, la plasticità del corpo, e la sua potenza espressiva. Il risultato è un'estetica porosa e visionaria, dove il suono e il gesto diventano strumenti di narrazione e denuncia.

Il lavoro nasce da una chiamata pubblica rivolta a donne non professioniste. Dodici performer si muovono nello spazio spoglio e luminoso dell’ex officina, vestite con grembiuli grigi da lavoro, in una divisa che evoca fatica, produzione, anonimato.

Il loro corpo è al centro di una partitura sonora e gestuale ispirata alla musica di Galina Ustvolskaya, densa, ossessiva, carica di tensione. A turno, una donna si avvicina a un’incudine posta di fronte al pubblico e, con due martelli, ne batte le superfici con precisione, scandendo i colpi come se stesse incidendo nella materia sonora e storica. Ma a un certo punto il corpo collettivo si ribella. Il gruppo si disallinea dalla partitura iniziale e genera un nuovo ritmo — compatto, deciso, proprio. Un’azione di disobbedienza coreografica, che diventa affermazione di sé, del proprio corpo, della propria voce.

Un gesto potente, politico, poetico.

Dalila Belaza - Hiya Company | Orage 

📍 Teatro Zandonai, ore 20.30

La seconda performance della giornata è stata l’assolo di Dalila Belaza, danzatrice francese di origine algerina, una delle personalità più originali e ibride della scena contemporanea.

Il teatro Zandonai accoglie il pubblico già in penombra.
Al centro della scena, una figura scura inizia lentamente a emergere.
A lato, sul fondo, una chitarra elettrica produce suoni psichedelici, distorti, a tratti disturbanti.

Per quasi 50 minuti assistiamo a un’esperienza ipnotica e densa, dove il corpo si muove in piccoli gesti ripetuti, sistematici, fino a diventare materia sonora.
Belaza non danza "sulla" musica, ma attraverso di essa: la incorpora, la lascia filtrare nella pelle, fino a generare una gestualità vibrante, in costante trasformazione.

Sembra di assistere a un temporale interiore, dove il corpo si fa e si disfa nello spazio.
Un magma denso, fluido, dove ogni movimento è il risultato di una vibrazione.
Le pause – rare, spezzate – sono altrettanto eloquenti: rotture nel continuum, aperture nel buio.

Lo spettatore è trascinato in questa voragine percettiva, dove il suono distorto e il corpo disturbato si fondono in una tensione continua.
Si è inquieti, ma anche profondamente coinvolti.
Si guarda e si ascolta con attenzione acuita, quasi fisica.

Entrambi i lavori — seppur molto diversi — parlano in modo potente del corpo come luogo di resistenza, memoria e trasformazione. Da un lato, l'energia collettiva e materica delle donne di Dorliguzzo. Dall’altro, la trance sonora e gestuale della Belaza, che trasforma la danza in una pratica spirituale e percettiva.

Due esperienze che, ciascuna a suo modo, danno voce a ciò che solitamente resta fuori scena.
E ci ricordano che guardare è un atto politico.
Così come esserci.

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